“È mio!”: il senso del possesso nei bambini

Vieko è il nonno di Federico, un bimbo di quasi quattro anni che viene affidato quasi ogni giorno a lui e a nonna Liliana, nelle ore in cui i genitori sono impegnati con il lavoro. Sono i nonni che vanno  a prenderlo all’asilo, lo portano al parco, giocano con lui e si godono l’infinita tenerezza di tornare a vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino. Ogni tanto, però, si trovano ad affrontare anche qualche comportamento che li sconcerta e di fronte al quale non sanno bene come comportarsi. Per esempio, i litigi che ogni tanto scoppiano tra Federico e i suoi amichetti per il possesso di un giocattolo.

Il racconto di Vieko

Ecco che cosa scrive Vieko:

Ho notato che in genere quasi tutti i bambini piccoli sviluppano molto presto uno spiccato senso del possesso. O forse è meglio dire che non riescono ancora a capire che una certa cosa può appartenere a qualcuno “altro” da loro.
Ricordo che, quando mio nipote era molto piccolo e si andava al parchetto, era attratto dalle biciclettine o dai palloni di altri bimbi e li trattava come fossero i suoi. Non era facile convincerlo del fatto che quelle cose non erano sue e non poteva portarsele via, almeno senza il permesso del legittimo proprietario che, ovviamente, si guardava bene dal concedere, anzi ne protestava la proprietà.
Credo che, oltre all’istinto del bambino, un fattore determinante sia anche l’atteggiamento dei grandi, che spesso inculcano al bambino il principio: difendi la tua roba.

Un episodio che ricordo. Al parchetto, con mia figlia e Federico. Ci sono anche molti altri bimbi. In occasioni come questa, mia figlia porta con sé una decina di automobiline, proprio per far giocare insieme più bambini ed evitare contese su un singolo oggetto. I bimbi (maschietti) alla vista delle macchinine si avvicinano ed è tutto un brumm-brumm, vrrrrrr, mmmmmm… Sembra il ronzio di alveare.
Il nipotino sembra non preoccuparsi della condivisione delle automobiline, salvo però controllare con la coda dell’occhio un bimbo che sta giocando con molto gusto e, tra sommessi brrrrrrrr-brrrrrrr si allontana in modo preoccupante dal controllo visuale di Federico. Improvviso scatta l’inseguimento: il bimbo corre stringendo il giocattolo e tentando di guadagnare la distanza e la proprietà del medesimo; Federico, contemporaneamente, abbandona la scena del gioco per recuperare quella singola automobilina e, pur più piccolo, insegue con ostinazione l’altro bimbo. La corsa prosegue fino all’intervento dei genitori.
Finale a lieto fine, i bimbi continuano a giocare, ma Federico non ha rinunciato alla  proprietà neppure di una delle sue molte automobiline.

“È mio”: una fase importante della crescita

In realtà, il comportamento descritto dal nonno di Federico è perfettamente nella norma, come possono confermare tutti i genitori, i nonni, gli educatori, le baby-sitter e, insomma, tutti coloro che hanno il privilegio di stare a stretto contatto con i bambini fin dalla più tenera età.  Anzi, si tratta di un passaggio obbligato nella maturazione cognitiva e nella  costruzione della personalità del bambino che si manifesta in genere dopo l’anno di età, quando comincia a staccarsi dalle figure di riferimento e a percepire la differenza tra il mondo esterno e il proprio corpo. Inizia quindi per lui un processo di identificazione di sé, che si accompagna però a un senso di “onnipotenza” in cui crede che tutto ciò che lo circonda sia un prolungamento del suo essere e quindi rivendica il suo diritto al possesso su ogni oggetto.
Questa fase di egocentrismo, che si prolunga per qualche anno, spesso sconcerta gli adulti, che non sanno in che modo reagire di fronte agli atteggiamenti decisamente possessivi nei confronti degli oggetti, soprattutto quando il bambino comincia a  relazionarsi coi i coetanei e questi atteggiamenti sfociano in dispute che finiscono spesso in litigi e pianti. Tipico il caso raccontato dal nonno di Federico: i bambini non si accontentano di giocare con i giocattoli a loro disposizione, ma vogliono possederli, portarli via con sé, in quanto pensano che tutto appartenga loro.

Consigli pratici

E allora, non resta che armarsi di pazienza, pronti però anche ad adottare un atteggiamento piuttosto fermo che aiuterà il bambino a capire che non tutti gli oggetti sono suoi e che bisogna quindi restituirli al proprietario. L’atteggiamento degli adulti in contatto con il bambino è infatti fondamentale non solo per insegnargli a discriminare tra cosa gli appartiene e cosa no, ma anche per cominciare a fargli capire il senso della condivisione  e della collaborazione con gli altri, quell’”insieme è meglio” che sta alla base della costruzione di una personalità serena e di un atteggiamento sociale solare e aperto.
In genere, comunque, dopo i quattro anni i bambini cominciano a superare questa fase e imparano a condividere più facilmente le proprie cose con gli altri.

Ecco alcuni suggerimenti pratici che possono rivelarsi utili per far fronte al problema.

Da fare

  • Non demonizzate il senso del possesso. È del tutto naturale che il bambino voglia che alcuni oggetti siano esclusivamente suoi, anche per sentirsi sicuro sentendo di avere un “territorio”  tutto per lui. Allora, provate a mettere da parte i suoi giocattoli preferiti quando vengono a giocare dei coetanei, spiegandogli però chiaramente le “regole”: “Gli amichetti, come vedi, non potranno usare questi giochi, che a te piacciono tanto; tu però dovrai lasciarli giocare con gli altri”.
  • Dategli il buon esempio scambiandovi alcune cose con i vostri amici o parenti, e fategli notare quando lo fate, ma senza sottolinearlo in modo troppo didattico (per esempio, potete dire “Oggi la mamma aveva dimenticato l’ombrello e io le ho dato il mio”, “La mamma di Marco mi ha prestato  questo bel libro”…). In questo modo, il bambino capirà come funziona lo “scambio” e lo percepirà come qualcosa di normale. Spiegategli anche, quando vi capita, che siete felici di prestare/ricevere in prestito qualcosa, perché è un modo per avere a disposizione più cose.
  • Lodatelo sempre quando vedete che permette a un amichetto di giocare con i suoi giochi.
  • Alcuni “trucchi del mestiere” che possono rivelarsi utili: quando degli amichetti vengono a giocare a casa da voi, stabilite delle regole. Per esempio, provate a dire al bambino: “Quando hai un giocattolo in mano, puoi giocarci solo tu; con quelli che sono per terra invece possono giocare tutti”. Se non funziona, potete provare ad armarvi di un contaminuti: quando due bambini cominciano a contendersi un giocattolo, spiegate loro che ognuno può usarlo solo per un certo tempo, e quando il contaminuti suona devono lasciarlo all’altro. Poi, puntate il contaminuti e preparatevi a ripetere il procedimento finché non si stufano e passano ad altro. Oppure, provate con la “punizione” del giocattolo: quando i bambini cominciano a litigare per un gioco, prendetelo, mettetelo fuori portata dei bambini  e dite loro che quel giocattolo è stato cattivo perché ha causato una lite e deve essere tenuto in punizione fuori dal gioco. Se riuscite a essere abbastanza autorevoli, questo espediente funziona. Non dovete però cedere, altrimenti… non ci riuscirete mai più!
  • Nel caso di fratellini e sorelline, può essere utile diversificare i giochi (magari apponendo delle etichette adesive di diverso colore) in modo che ognuno sappia chiaramente quali sono i suoi. Questo non significa che ognuno debba giocare solo con i suoi, anzi: tutti giocano con tutto, ma ognuno ha delle cose sue che condivide con gli altri.

Da non fare

  • Arrabbiarsi gridando e agitandosi, o punire il bambino quando non vuole condividere i suoi oggetti con gli altri.
  • Preoccuparsi: il bambino lo percepirà, anche se voi cercherete di non farglielo sentire, e gli sembrerà di non “essere all’altezza” delle vostre aspettative. Ricordatevi sempre che si tratta di una fase di crescita e che prima o poi imparerà a condividere.

Trovi altre testimonianze di Vieko anche a questi link:
I “perchè?” dei bambini
L’amico immaginario
Condividere le scelte educative
La conquista del linguaggio
Le esplosioni di ira dei bambini
I “no” di noi “grandi”
Il disegno dei bambini
Giocare per crescere
La maleducazione degli altri: come spiegarla ai bambini

4 commenti su ““È mio!”: il senso del possesso nei bambini

  1. Come la mamma di Federico, solitamente anch’io quando vado da qualche parte e so che ci sono bambini, mi armo di giochi in più 🙂
    Ho sempre cercato di trasmettere a nostro figlio il messaggio che i giochi sono di tutti perché chiunque ha diritto al loro utilizzo, perciò, anche se l’abitudine del possesso è presente (così come è giusto che sia) anche in lui, è più facile condividere i giochi con gli altri (perché è un’abitudine, una routine).
    Utilizzo pure io il metodo di far scambiare i giochi (lo usi un po’ tu, e poi un po’ il tuo amichetto), anche questo abitua alla condivisione.
    Purtroppo però sono poche le persone che diffondono la condivisione nei propri figli.
    Solitamente si sente dire “il gioco è tuo, dopo te lo rende” (ed è una delle risposte migliori u.u). A me queste frasi danno sui nervi, ma non posso certamente andarvi contro 🙂 tuttavia, credo che limitare il possesso sia un atto di amore non solo verso i propri figli, ma anche verso il prossimo, insomma credo serva a renderci migliori, visto come va il mondo, e a quanto egoismo ci circonda.
    Utilizzerò sicuramente qualche altro consiglio, fornito con questo post ^_^
    Grazie mille Nonni <3

    1. Grazie di questo commento! Siamo perfettamente d’accordo con te: è vero che molte persone sembrano quasi voler rafforzare il senso del possesso dei bambini. Temo che non possiamo fare nulla, se non insistere nel cercare di trasmettere ai nostri figli e nipoti i valori nei quali crediamo.
      Buona giornata!

  2. Ahimè alcune volte compio l’errore dell’eccesso di rimprovero nei confronti di mio figlio quando non vuole condividere un particolare gioco con un amico.
    Che influenza ha su di un bambino questa cosa se eccessiva ?
    Grazie

    1. Caro Enrico,
      ci fa molto piacere che tu ti sia rivolto a noi. È bello sapere che ci leggono anche i papà!
      Il nostro consiglio è di non preoccuparti troppo: i genitori (e i buoni genitori) si fanno spesso mille problemi nella loro azione educativa con i figli, e non tengono conto che quello che davvero vale, quello che riusciamo davvero a trasmettere, è ciò che siamo, il famoso “esempio” che diamo loro.
      Naturalmente pensiamo che quando parli di “eccesso di rimprovero” ti riferisca a una presa di posizione energica, ma senza urla o scapaccioni. Se è così, il tuo bambino capirà perfettamente la tua intenzione, soprattutto se vedrà in famiglia altri esempi di condivisione che piano piano lo aiuteranno a capire il comportamento giusto.
      Da parte nostra, tantissimi auguri per te e il tuo bimbo
      Annalisa Pomilio
      Redazione di noinonni.it

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