I “no” di noi “grandi”

Ci siamo già occupati dei “no” dei bambini (Il momento del “no”!), e dell’uso talvolta esasperante che riescono a fare di questa parolina apparentemente inoffensiva.
Chiediamoci però: quanti “no” ci sentono dire ogni giorno i bambini? Certo, sono “no” necessari, dettati dal buon senso, dall’esigenza di evitare i pericoli, dal rispetto delle norme che permettono una convivenza pacifica con gli altri… Insomma, sono le regole che diamo loro. Ma siamo sicuri che siano tutti necessari?
Sentiamo cosa ci scrive Vieko, un nonno che già più volte ci ha dato il suo prezioso contributo su diversi temi di grande rilevanza educativa.

La testimonianza di Vieko

Certo, il mio nipotino Federico, come gli altri bambini, oppone frequentemente alle richieste che gli vengono fatte dei bei “No!”. Ma, pensandoci, e sforzandomi valutare il problema dal suo punto di vista, mi è sorta spontanea una considerazione: ci interessiamo ai “no” dei bambini, ma molto meno ai moltissimi “no” dei grandi.
Proviamo a immedesimarci nel vissuto di un bambino. Ci accorgeremo che la sua giornata è costellata da una serie continua di divieti.
– Non fare questo, è pericoloso… Non fare quest’altro, ti sporchi tutto… Non correre… Non urlare… No… No… No…
Certo, sono quasi sempre “no” necessari, dettati dalla prudenza, dal buon senso, dal rispetto della buona educazione… Resta il fatto che il bambino difficilmente ne capisce la vera motivazione e potrebbe viverli come un semplice dispetto.
Per lui è un impulso quasi irresistibile scatenarsi in una bella corsa improvvisa, gridare per sentire il suono della sua voce, gettare in aria oggetti per vedere come “volano”… Sono manifestazioni naturali del suo essere bambino. Sono comportamenti che possono liberamente trovare sfogo nei luoghi “giusti”, come in un prato in campagna o nel cortile dell’asilo. Ma quasi sempre in altre circostanze e secondo le regole del mondo adulto, sono prontamente repressi.

Mi vengono in mente, tanto per fare qualche esempio concreto, alcune situazioni della nostra vita quotidiana. Quando esco con il mio nipotino dobbiamo attraversare alcuni incroci molto trafficati; è logico che in queste situazioni non debba lasciare la mia mano o, peggio, mettersi a correre; quando Federico si trova a camminare sulla ghiaia prova una grande gioia nell’“arare” un gran solco con un piede, proprio quando indossa le sue scarpine buone, riducendole a brandelli… Cosa fare?
Se i “no” fuori casa sono dettati soprattutto dalla necessità di evitare comportamenti pericolosi, i “no” domestici riguardano anche il desiderio di preservare la casa da una sistematica “demolizione”. Quindi non si devono lanciare in aria oggetti che si rompono. E quelli morbidi? Anche quelli possono causare danni e poi, ricadendo, fanno comunque rumore e bisogna avere rispetto anche per i vicini. E se li lanciamo dal terrazzo? Meno che mai! E correre in casa? Si può fare, ma con moderazione; anche in questo caso bisogna pensare ai vicini e anche agli spigoli che, come appurato, possono far male.
Si possono premere i pulsanti dell’ascensore? Sì, ma solo quando sei abbastanza grande per arrivarci da solo e, soprattutto, facendo moltissima attenzione a non premere quello rosso.
E la casistica è praticamente infinita.

A volte è divertente constatare come le nostre motivazioni di prudenza appaiano assurde a un bambino. Quando Federico è a casa mia è attratto da un soprammobile di porcellana a cui tengo molto. Non voglio nasconderlo e desidero fargli capire che non è un giocattolo.
– Federico, tratta con molta attenzione quel soprammobile, mi dispiacerebbe se si rompesse.
– Perché?
– Perché è antico.
– Cosa vuol dire antico?
– Vuol dire che ha molti anni, è molto vecchio.
– Ma se è così vecchio, perché ci tieni tanto? Comperane uno nuovo.

Penso che per noi adulti il problema sia trovare il non facile punto di equilibrio tra i “no” inevitabili, motivandoli e facendo in modo che il bambino impari che alcune regole sono necessarie, e quelli che servono solo a tranquillizzarci ma che rischiano alla lunga di rendere il bimbo indifferente a qualsiasi proibizione. 

L’importanza delle regole

Sì, è proprio come scrive Vieko: si tratta di trovare un giusto equilibrio tra far rispettare i “no” necessari e lasciare ai bambini la possibilità di correre, saltare, giocare, e insomma… fare i bambini.
Ma, ancora prima, la domanda è: quali sono le regole da dare ai bambini? E sono necessarie?
Le regole non solo sono necessarie, ma sono anche un’esigenza del bambino, perché gli trasmettono sicurezza e gli confermano il nostro affetto e la nostra attenzione nei suoi confronti.
Le regole sono come la recinzione di un grande giardino, che protegge i bambini mentre, al suo interno, loro possono sperimentare, crescere, giocare in tutta sicurezza; o ancora meglio, con un’immagine che prendiamo in prestito dalla pedagogista Cinzia D’Alessandro, sono come gli argini di un fiume, che lo guidano lungo il suo percorso lasciando però le sue acque libere di fare salti, cascate, di accelerare e rallentare a piacimento.

Certo, sarebbe bene che i bambini facessero proprie le regole che imponiamo loro, ma bisogna tener presente che fino ai 5-6 anni non sono in grado di autoregolarsi, non sono in grado di capire che cosa è giusto e che cosa non lo è: siamo noi adulti a dire loro cosa è bene e cosa è male, cosa si può e cosa non si può fare; e loro, visto che ci vogliono bene, ci ascoltano.
Viceversa, però, non possiamo imporre divieti immotivati. Per questo le regole andrebbero sempre condivise, anche con i bambini più piccoli, spiegandone loro il perché (c’è il rischi di farsi male, di disturbare, di danneggiare oggetti a cui si tiene…) e ascoltando anche il loro punto di vista, senza però naturalmente lasciarsi trascinare in inutili discussioni: il bambino deve sentire che noi, gli adulti che lo circondano e si occupano di lui, lo capiamo, ma abbiamo l’autorevolezza necessaria a stabilire le regole che lo proteggono.
Le regole sono infatti un elemento educativo di grande importanza; anzi, diventano un vero elemento di coesione familiare, perché è anche attraverso le regole che noi trasmettiamo ai bambini, magari senza rendercene pienamente conto, la nostra visione del mondo e il nostro sistema di valori.

Naturalmente, però, c’è “no” e “no”. Se un bimbo di un anno gioca tirando fuori gli oggetti dal cassetto e mettendoli in disordine…  beh, armiamoci di pazienza o proviamo a proporgli un altro gioco: il “no” che gli diremmo risponde a un bisogno di noi adulti e non del bambino, che in realtà sta esplorando il mondo che lo circonda, cioè… sta facendo esattamente quello che deve fare!
I “no” che diciamo noi adulti, insomma, devono essere adeguati all’età e ai bisogni dei bambini. E, una volta detto un “no”, data una regola, ricordiamoci che dobbiamo evitare di promettere un premio se il bambino la rispetta (del tipo “se ti comporterai bene ti comprerò…): questo è assolutamente diseducativo, perché il bambino non acquisirà la regola in quanto tale ma l’assocerà al premio.
Insomma, come al solito si tratta di un sottile gioco di equilibrio, che noi nonni conosciamo già molto bene, e che dobbiamo cercare di mettere in atto anche con i nostri nipotini, con i quali, confessiamocelo, siamo molto più morbidi e meno propensi a dare regole di quanto lo fossimo da genitori, con i nostri figli.

Trovi altre testimonianze di Vieko anche a questi link:
I “perchè?” dei bambini
“È mio!”: il senso del possesso nei bambini
Condividere le scelte educative
La conquista del linguaggio
Le esplosioni di ira dei bambini
L’amico immaginario
Il disegno dei bambini
Giocare per crescere
La maleducazione degli altri: come spiegarla ai bambini

 

 

 

 

2 commenti su “I “no” di noi “grandi”

  1. Importanti osservazioni. Aggiungo come riflessioni aggiuntive: i no devono anche essere adeguati non solo all’età, ma anche a quanto è stato fatto o si è in procinto di fare misurandone la gravità. Il bambini deve imparare ad associare al no una cosa (azione, parola ecc. che sia) che NON va bene per i motivi che ascolterà. In questo modo gli semplifico la vita, tanti no possono essere parafrasati in modo diverso (“aspetta un attimo”, “guarda che si può fare in modo diverso”, “è meglio così”).
    Sulle regole sono convinto che a volte diventino una specie di alibi educativo, ci si sente a posto una volta trasmesse, come se bastasse contrassegnare il percorso dei bambini da un insieme di paletti (corretti, per carità, ma freddi e distaccati). Nella nostra casa, pur non rinnegando assolutamente la necessità delle regole, riteniamo che possono esserci vie diverse. Magari non così strutturate o efficaci, ma – credo – ugualmente importanti, perchè comunque frutto di scelte consapevoli. A me piace pensare che la regola la si possa trasmettere attraverso la via delle ritualità. Che cosa? Per ritualità intendo l’abituare pian piano i bambini ad assumere comportamenti che esprimano il rispetto di regole, in modo che quest’ultime siano assimilate senza la necessità di citarle o mostrarle (e men che meno imporle). Mi piace definirla l’autorevolezza dell’accomapagnamento. Essa non si contrappone all’autorità della regola, ma la gestisce in un percorso, magari più lungo, più lento (e in certi casi molto più faticoso), ma a mio avviso ugualmente efficace. Se rendo naturale e, percepito come bello e positivo, un certo comportamento la regola che lo ispira può rimanere nascosta: non c’è bisogno di enunciarla, diventa evidente. Eccesso di ottimismo buonista? può darsi, per ora un po’ funziona. W NONNI!!

    1. Grazie per questo contributo, davvero interessante. In realtà però noi non pensavamo a regole “fredde e distaccate”: è evidente che nel rapporto con i bambini è importante sempre l’affettività, l’amore che alla base di tutto, anche quando li rimproveriamo e siamo autorevoli, come giustamente dici tu.
      Viva i papà!

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