Risponde lo psicologo – Le parolacce
Un nuovo interessante contributo su un tema di psicologia a misura di bambino che ci arriva dalla dottoressa Manuela Arenella, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza.
Questa volta risponde a una mamma in cerca di consigli su come reagire di fronte alle parolacce dette da suo figlio.
DOMANDA
Mio figlio di 7 anni ha cominciato a usare delle parolacce, e non so come farlo smettere. Noi a casa non parliamo in questo modo, perciò sicuramente le ha imparate a scuola, dai compagni. Ma anche se provo a spiegargli che non è giusto parlare così non ottengo risultati, anzi dice le parolacce anche quando usciamo insieme, oppure incontriamo qualcuno. Che cosa si può fare?
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
L’interesse per le parolacce si manifesta intorno ai 3 anni, quando il bambino, attraverso il meccanismo dell’imitazione, riporta in casa e ripropone tutto ciò che sente, per constatare l’effetto che fa. Le parolacce di solito hanno un effetto dirompente sugli adulti, che tendono a catalogarle come qualcosa di “brutto, sporco e che non si dice”, mentre per il bimbo sono solo nuove acquisizioni di cui spesso ignora il significato.
Più i genitori sono rigidi, più la parola gli si fissa nella mente, e comincia a usarla in modo intenzionale, per fare un dispetto o esprimere la sua opposizione, magari nei momenti meno opportuni, come per farci fare brutta figura.
Di solito il bambino prova sempre un grandissimo piacere a dire le parolacce perché, anche se non ne conosce il significato, coglie al volo l’effetto dirompente, dissacratorio. Inoltre sono termini che hanno a che fare con argomenti tabù, come il sesso e gli escrementi, in un linguaggio molto diretto, immediato, “materiale”, e perciò molto adatto ad esprimere le pulsioni infantili, soprattutto quelle anali.
È il loro effetto trasgressivo che attrae tanto il bambino, che ne subisce tanto più il fascino quanto più forte è il divieto in famiglia.
Non servono punizioni forti, che possono far sì che l’attrazione verso le parolacce si trasformi in senso di colpa… e questo porta verso il conformismo e l’ubbidienza, che non sempre sono virtù, dal momento che nella vita è importante anche saper attivare delle piccole trasgressioni.
Le parolacce devono fare il loro corso: compare l’interesse, esplode il loro utilizzo, ma poi generalmente si esaurisce in tempi brevi, senza lasciare traccia, soprattutto se si riesce a sdrammatizzare questo fenomeno e a considerarlo per ciò che è, cioè qualcosa di passeggero.
Questo non significa che bisogna restare indifferenti; se facciamo finta di non sentire molto probabilmente il bambino insisterà per attirare la nostra attenzione. Bisognerebbe intervenire spiegando al bambino perché non sta bene dirle (possono ferire gli altri, non stanno bene sulla bocca di un bimbo così bello, ecc…), ma senza esagerare con le prediche, soprattutto se a noi stessi a volte “scappano”. Non c’è niente che disorienti di più un bambino dell’incoerenza degli adulti, quando quello che fanno è diverso da quello che insegnano…
Diversi studi, comunque, hanno constatato che nelle famiglie in cui il linguaggio sconveniente è più “tollerato” il bambino non mostra particolare interesse per le parolacce, né tende a ripeterle, mentre quando i genitori ne fanno un dramma e una questione educativa fondamentale, il bambino non solo insiste in modo fastidioso, ma lo fa anche nei momenti meno opportuni. Perciò s’ a riprendere il bambino, ma senza farne un problema capitale. Inoltre è importante evitare estenuanti interrogatori per sapere da chi l’ha imparata: le parolacce girano, non appartengono a nessuno e poco importa da chi l’ha sentita, l’importante è valutare l’uso che ne si fa.
In riferimento alla domanda, quindi, bisognerebbe capire cosa scatta nei genitori, quale tipo di reazione di fronte alla parolaccia. Se si modifica questa reazione nel senso di una maggior tolleranza e minor colpevolizzazione, il fenomeno dovrebbe scemare naturalmente, altrimenti l’uso delle parolacce può essere l’espressione di un comportamento oppositivo più complesso, che presuppone una conflittualità genitori-figli più profonda. In tal caso fatemi sapere e proveremo ad affrontare la situazione!
MANUELA ARENELLA, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza a Bologna, già da alcuni anni tiene corsi di formazione per educatori di asili nido e personale docente, ma anche per genitori, in varie località della Romagna e a San Marino.
Svolge attività libero-professionale presso proprio studio a Bellaria (via Conti 37) e a Bologna. Ha rapporti di collaborazione consolidati con i Servizi Educativi di San Marino e con il Centro per le Famiglie di Rimini, organizzando serate a tema su diverse tematiche, in particolare sui bisogni dei bambini, le relazioni interfamiliari e il valore delle regole.
Ecco, questo è il mio problema principale… Aurelio, 3 anni,frequenta l’asilo e dice le parolacce.E le dice a volte ridendo, a volte per farci arrabbiare. L’indifferenza non funziona, e neppure il dialogo. Si ottiene la reazione opposta. Che fare?
Cara Simona,
penso che abbiate solo due strade: tenere duro con l’indifferenza o passare alle punizioni. Personalmente opterei per l’indifferenza; penso proprio che, se si accorge che in casa la sua “provocazione” non attecchisce, Aurelio la smetterà!
Tanti cari auguri per il tuo bimbo
Annalisa Pomilio
noinonni.it