Il ricordo dei nostri cari che non sono più con noi

Novembre, il “mese dei morti”. Il mese in cui, soprattutto nella prima settimana, si rinnova la tradizione della visita alle tombe. Un “rito” oggi sempre meno sentito, soprattutto nelle grandi città, dove si sente maggiormente la dispersione di nuclei familiari e dove anche i cimiteri, relegati in periferia e similia ormai a grandi, impersonali città, sembrano invitare meno al raccoglimento e alla riflessione. E poi, per molti gli impedimenti oggettivi (la lontananza, il lavoro, i mille impicci di una vita di corsa in cui anche questa ricorrenza, il 2° novembre, è stata cancellata dal calendario ed è ormai offuscati, almeno nell’immaginario dei bambini, dal vicino halloween…) si sommano al pensiero che per ricordare i propri cari non è necessario recarsi in un luogo particolare.

Eppure, non è proprio così. Dedicare una giornata alla visita alle tombe vuol dire fermarsi, caricare il ricordo di significato e di sacralità – indipendentemente dal nostro credo religioso. Non è solo un’immagine che ci torna in mente, e su cui ci soffermiamo un attimo, con un dolente senso di perdita, per pi tornare alle nostre occupazioni. È un tempo in cui ci fermiamo, che dedichiamo a coloro che ci hanno preceduto, che con la loro vita ci hanno aperto la strada, che sono le nostre radici…

Non è un caso, dunque, che nella tradizione di tante civiltà ci sia una giornata particolare dedicata proprio al culto dei defunti. Ma non si tratta solo di una tradizione, e neanche solo di un omaggio che rendiamo a chi ci ha preceduto. È un modo per collegare i fili di oggi con quelli di ieri, un momento in cui possiamo raccontare ai nipoti chi erano le persone a cui andiamo a portare un fiore e perché sono state importanti per noi. L’occasione in cui abbiamo la possibilità di farle rivivere in un’espressione, in un modo di dire, in un gesto, anche in un episodio buffo. Sì, anche in un episodio su cui sorridere, e non dobbiamo sentirci fuori posto, per quanto la sacralità del luogo ci indichi a un atteggiamento dolente: i defunti vivono in noi, e vivere vuol dire anche saper sorridere, saper rievocare i momenti belli, saper riconoscere quello che di loro vive in noi, quello che ci hanno trasmesso. È la vita: la malinconia per la perdita convive con questi stati d’animo.

È tutto questo che possiamo e dobbiamo trasmettere ai bambini e ai ragazzi nel giorno dei morti, portando un fiore sulle tombe dei nostri cari defunti: un simbolo, certo, ma che sta a noi, arricchendolo di significato, evitare che diventi solo formale. Mai come in questo caso, la forma è “sostanza”. “Regaliamo” quindi questa giornata ai nostri nipoti, e facciamo sì che quel fiore diventi il segno tangibile del testimone ideale che trasmettiamo loro.

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