Nonna Annalisa racconta – Una “cascata” di parole

La dolcezza di sentirsi chiamare “nonnina”. Ma anche la sorpresa di vedere la rapidità con cui E., due anni di energia, amplia di giorno in giorno il suo linguaggio, “giocando” con le parole, tanto da usare – e inventare – diminutivi, vezzeggiativi e accrescitivi talvolta buffi e strampalati. È una vera “cascata”: ogni giorno ti sorprende con una nuova parola, con frasi sempre più lunghe…
Certo, come tutti i bambini “storpia” le parole: ancora non pronuncia bene tutte le lettere, tutti i nessi consonantici. Ma anche questo ha il suo incanto: sentirle dire “bevere” invece di bere, “pozzanera” (per pozzanghera), “tivaletti” (per stivaletti), “io leggio”… strappa sorrisi inteneriti.

Però indubbiamente E. “maneggia” la lingua italiana di giorno in giorno con maggiore competenza. E per me è una sorpresa vedere come questa competenza si affini, come le basta ascoltare una parola per memorizzarla e ripeterla. Ah, avessi io questa capacità di memoria! Ma anche… possibile che io ricordi così poco di quando le mie bambine avevano quest’età, attraversavano questa fase? Ricordo mia madre che diceva a mia figlia, ridendo, “parla più lentamente, non riesco a tenerti dietro!” quando, appena un po’ più grandicella, la inondava con una cascata di parole, raccontandole a modo suo, e con la concitazione dettata dall’entusiasmo e dall’urgenza di parlare, qualcosa che le era capitata. Allora non capivo; ora sono come lei…

Mi è tornato in mente quando, entrando a casa di mia figlia, mi sono veduta correre incontro E. tutta eccitata. Non mi ha dato neanche il tempo di posare la borsa, perché doveva mostrarmi che aveva imparato a fare il puzzle (i primissimi puzzle, quelli di due soli pezzi) e spiegarmi che nei pezzi c’è la “sporgenza” e la “rientranza” (due parole difficili, che pronuncia con qualche prevedibile incertezza, ma con piena competenza linguistica) e devono incastrarsi.
Non che la sua tecnica sia poi perfetta: consiste nel prendere due pezzi a caso (sì, uno con la sporgenza e uno con la rientranza… ma questo non basta!), accostarli e colpirli ripetutamente, arrabbiandosi se, come c’è da aspettarsi, rifiutano ostinatamente di incastrarsi. Anche se la tecnica del puzzle ha ancora bisogno di una messa a punto, però, queste due parole, proprio grazie al gioco, sono entrate nel suo vocabolario.
Ma mi è tornato in mente anche dopo, quando eravamo al parchetto insieme. Lì, mentre la spingevo sull’altalena, ho esclamato “ah, la mia mano dolorante!” (ho qualche problema alla mano) e lei mi da detto, serissima, “non si chiama dolorante”. Salvo poi, quando le ho spiegato il significato di questo termine, inserirlo subito tra le “sue” parole. Pensare alla fatica che ho fatto, da adulta, a studiare l’inglese! (E ora non ci proverei neanche!).

I bambini sono spugne, si dice. E ogni giorno mi accorgo che è così. Imparano tutto. Il linguaggio è l’aspetto, almeno per me, più evidente, quello che mi salta subito agli occhi e mi stupisce di più; ma imparano anche gli atteggiamenti, i modi di fare; e capiscono ogni sfumatura degli stati d’animo o dei sentimenti di chi li circonda. Per questo richiedono tutta la nostra cura e tutta la nostra attenzione, perché dobbiamo proteggerli, ma anche accompagnare la loro crescita per permettere loro di scoprire il mondo pian piano, allargando via via il proprio orizzonte, ma sapendo di avere sempre qualcuno che guarda loro le spalle e su cui possono contare.

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