Quando il bambino balbetta
Attori, politici, cantanti, sportivi… sono tantissime le persone affette da balbuzie che sono riuscite a superare con successo questo problema e a costruirsi una vita di successo. Quindi, se il vostro nipotino si blocca nel parlare e tende a ripetere le sillabe iniziali (ma anche quelle interne) delle parole, niente paura: è un disturbo che può essere controllato e vinto, soprattutto se viene affrontato senza ansie.
Che cos’è la balbuzie
Prima di tutto, definiamo bene il problema. Si calcola che le persone affette da balbuzie siano tra l’1 e il 2% della popolazione mondiale, e che il disturbo sia quattro volte più frequente nei maschi che nelle femmine.
Non si tratta di una malattia e non ha origine psicologica; è semplicemente un disturbo del linguaggio che colpisce il ritmo della pronuncia delle parole, e che può essere accentuato da stanchezza, ansia e nervosismo.
L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) la definisce così: “Un modo di parlare caratterizzato dalla frequente ripetizione o dal prolungamento di suoni, di sillabe o di parole, o da frequenti esitazioni o pause che interrompono il fluire ritmico del discorso. Disritmie minori di questo tipo sono piuttosto comuni come una fase passeggera nella prima infanzia, o come una caratteristica di minore entità ma persistente nella seconda infanzia o nell’età adulta. Possono essere classificate come un disordine solo se la loro gravità è tale da disturbare in maniera significativa il fluire del discorso.” (la traduzione è mia).
In pratica: balbettare significa non riuscire a dire con precisione ciò che si vorrebbe, a causa di involontari arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di suono.
Moltissimi bambini (circa il 5% del totale) tra i due e i cinque anni hanno piccole difficoltà di linguaggio (hanno esitazioni, cercano le parole, ripetono le sillabe…), che sono assolutamente normali e che si attenuano e passano nel giro di 18 mesi circa. In questi casi, si parla di balbuzie transitoria. Alcuni bambini invece continuano a incespicare e il loro disturbo diventa persistente, accompagnandoli anche nell’età adulta.
Anche se in base a recenti studi la balbuzie si manifesta in genere nella prima infanzia (secondo i due studiosi americani Ehud Yairi e Nicoline Grinager Ambrose dell’Università dell’Illinois, che hanno pubblicato nel 1999 un illuminante studio sul problema, nell’85% dei casi la balbuzie si manifesta tra i 18 e i 42 mesi), fino ai sei anni circa è difficile prevedere quale bambino balbetterà anche in età adulta. Non resta quindi che armarsi di pazienza, cercando di favorire una corretta comunicazione con il bambino e ricorrendo se è il caso all’aiuto di uno specialista.
Il ricorso a uno specialista è fondamentale se il disturbo persiste e diventa balbuzie vera e propria: con il suo aiuto, e con la collaborazione di chi si occupa del bambino, è possibile vincere questo disturbo.
Come si riconosce
Chi soffre di balbuzie non balbetta sempre: ci sono giornate positive e giornate negative, periodi buoni e periodi cattivi.
In particolare, sulla fluidità del discorso può influire la tensione: chi sa di essere affetto da questo disturbo affronta spesso con ansia l’idea di parlare, soprattutto con persone con cui ha poca familiarità, e questo può acuire il disturbo, tanto che talvolta un bambino può non soffrirne in una determinata situazione e invece incontrare notevoli difficoltà in altre circostanze.
Ma quando bisogna cominciare a chiedersi se il bambino soffre di balbuzie? I segni più caratteristici sono naturalmente la ripetizione della stessa sillaba per più di due volte, accompagnata da segni di tensione muscolare e dalla sensazione che il bambino preferisca quasi evitare di parlare piuttosto che affrontare la frustrazione di non riuscire a esprimersi con fluidità. In genere, dicono gli psicologi, i bambini già dai tre anni sono consapevoli di avere difficoltà a parlare e spesso cercano di superare il problema con la fuga.
Ecco alcuni segnali che potrebbero mettere sull’avviso chi si occupa del bambino:
- Balbetta da più di un anno.
- Fa più di due ripetizioni (per esempio, -e-e-e-erba invece di e-e-erba).
- Sembra frustrato o imbarazzato quando ha difficoltà a pronunciare le parole.
- Quando balbetta, alza il tono della voce oppure guarda da un lato (in alcuni casi, chiude anche gli occhi) o irrigidisce i muscoli del viso.
- Quando cerca di parlare, qualche volta si blocca in modo brusco e non riesce ad emettere nessun suono per qualche secondo.
- Talvolta, se si blocca su una parola, manifesta atteggiamenti di stizza (per esempio batte un piede, chiude gli occhi…), come se potessero aiutarlo a superare il problema.
- Rinuncia a parlare per paura di balbettare.
Che cosa fare: le regole da seguire in famiglia
Prima di tutto, non drammatizzare il problema, ma neanche sottovalutarlo sperando che passi da solo. Nei primi anni, è fondamentale che chi si occupa del bambino – genitori, nonni, baby-sitter, insegnanti… – abbia un atteggiamento positivo, in modo da poterlo aiutare e incoraggiare a comunicare in maniera corretta, senza che si lasci sopraffare dalla frustrazione: il bambino deve sentire di essere accettato e apprezzato, indipendentemente dalle sue difficoltà nel parlare, in modo da poter sviluppare una buona autostima.
È fondamentale però anche l’aiuto di uno specialista, che deve intervenire non solo suggerendo delle tecniche per limitare il numero dei “blocchi” nel discorso, ma anche aiutando il bambino a sentirsi adeguato quando comunica, e quindi a evitare che cerchi di sottrarsi alla comunicazione.
In famiglia, nel comunicare con il bambino è bene seguire alcune semplici regole:
- Quando parlate con il bambino, mantenete sempre il contatto oculare con lui.
- Anche se incespica, non finite le parole o le frasi al suo posto.
- Non mettetegli fretta quando sta parlando; in particolare, evitate di sollecitarlo con espressioni come “su, allora, dai…” e simili.
- Mostratevi sempre interessati a quello che il bambino dice, sorvolando su “come” lo dice: per chi soffre di balbuzie, spesso il “come faccio a dirlo” diventa più importante del “che cosa dico”.
- Parlate con il bambino usando per quanto possibile un tono calmo e rilassato. Parlategli lentamente, facendo delle pause tra le frasi, per diminuire la pressione comunicativa.
- Se lo vedete in difficoltà, non fategli troppe domande dirette. Fategli una domanda alla volta e aspettate che vi risponda prima di porgli la successiva.
- Quando balbetta, non dategli consigli (ad esempio, “parla lentamente”, “fai un bel respiro”, “stai tranquillo”…): non fareste che aumentare la sua frustrazione, senza aiutarlo.
- Non interrompetelo quando parla; aspettate che finisca e solo dopo parlate a vostra volta, senza sovrapporvi alla sua voce.
Disclaimer
Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il parere medico.