Risponde lo psicologo – Giocattoli diversi per maschietti e femminucce?
Questa settimana la dottoressa Manuela Arenella, psicologa psicoterapeuta. affronta un tema sul quale molti nonni ci hanno chiesto un parere: i maschietti e le femminucce devono sempre fare giochi diversi?
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“Maschietti e femminucce: sempre giochi diversi?“
DOMANDA
Ho un nipote di 4 anni e sono un po’ preoccupata perché all’asilo preferisce giocare con le bimbe piuttosto che con i maschietti, facendo i giochi per le femmine. Questo non significa che non giochi con il trenino o altri giochi considerati “maschili”, ma ogni tanto dice che vuole una delle principesse Disney, oppure altri giochi prettamente “femminili”.
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
Il percorso attraverso cui si forma l’identità sessuale è lungo ed articolato. Parte dalla grande svolta dei tre anni e procede attraverso giochi di identificazione con il genitore dello stesso sesso che però, nella tipica dinamica edipica, assume anche il ruolo del “grande rivale”.
Il discorso è lungo, e in questa occasione non lo affrontiamo in maniera completa; ai fini del priblema sollevato dalla lettrice, è sufficiente sapere che sulla formazione dell’identità di genere del bambino (il sentirsi maschietto o femminuccia) influisce molto il modo con cui i genitori vivono la propria identità di uomini e donne e le loro aspettative nei confronti dei loro bambini.
Oggi, a differenza di un tempo, non ci sono grosse differenze tra l’educazione di un maschio e quella di una femmina. In pratica però in molti casi i principi teoridìci vengono spesso contraddetti dalle aspettative più profonde, inconsce, di chi si occupa dell’educazione dei bambini. Succede perciò che anche i genitori più evoluti, accaniti sostenitori della parità dei sessi, lanciano senza accorgersene messaggi più “tradizionali”. Per cui, ad esempio, si tende ad accettare con difficoltà le manifestazioni di aggressività da parte delle bambine, pur sapendo che questa pulsione favorisce l’intraprendenza e l’autonomia. Allo stesso modo si tende a non incoraggiare, nei maschietti, la sensibilità, la delicatezza, la tenerezza, mentre si sostengono la forza, la grinta, ecc… E anche nella scelta dei giocattoli, dei libri, dei film e dei cartoni animati si tende a spingere i bambini ad assumere un ruolo “maschile” o “femminile” nel senso più tradizionale del termine.
È innegabile che le bambine preferiscano giocare con le bambole e i maschi con le pistole ad acqua e fucili. In questa preferenza entrano in gioco aspetti culturali e sociali (senza dimenticare i messaggi televisivi da cui i bambini sono quotidianamente bombardati), ma anche aspetti antropologici: i bambini sfogano nel gioco della guerra la loro aggressività più manifesta e fisica; le bambine attraverso il gioco con le bambole allenano non solo “l’istinto materno”, ma anche la capacità di riprodurre quel mondo di relazioni e affetti, a cui sono più affini, fin da piccole.
Ci sono però bambine più combattive di tanti maschi, e maschi più sensibili e delicati di tante bambine. Eppure i genitori, mentre non si preoccupano nel vedere la figlia che fa il “maschiaccio”, non accettano altrettanto bene il fatto che il maschio si dedichi a giochi “femminili”. Così molto spesso i bambini, pur di non sentirsi chiamare “femminuccia” o di dover sopportare la disapprovazione dei genitori, rinunciano a esprimere nel gioco alcuni aspetti che possono far sospettare un’inversione di tendenza sessuale, che la maggior parte delle volte non c’è.
La tendenza, ancora troppo diffusa, a reprimere nei figli maschi le inclinazioni femminili che emergono spontanee nel gioco fa parte dei pregiudizi di un’educazione che tende a ingabbiare l’indole del bambino in un modello stereotipato di mascolinità. Sarebbe più educativo incoraggiare nei maschi qualità da sempre inibite, come la tenerezza e la sensibilità, così che continui a esprimerle anche da adulti.
La vera “rivoluzione” nell’attitudine educativa di genitori e insegnanti dovrebbe essere quella di valorizzare nel bambino proprio quelle differenze che rappresentano la sua individualità di persona, indipendentemente non solo dal sesso, ma dai desideri e dalle aspettative degli adulti.
In generale, a prescindere dal tipo di giochi o di amicizie, che possono anche testimoniare una spiccata curiosità e la voglia di sperimentare cose nuove, l’importante sarebbe capire se quel bambino si “sente” femmina, se ha un’idea di sé al femminile, se esprime il desiderio di essere diverso da quello che è. Sono questi segnali che possono avere un valore predittivo rispetto al possibile sviluppo di un’omosessualità.
MANUELA ARENELLA, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza a Bologna, già da alcuni anni tiene corsi di formazione per educatori di asili nido e personale docente, ma anche per genitori, in varie località della Romagna e a San Marino.
Svolge attività libero-professionale presso proprio studio a Bellaria (via Conti 37) e a Bologna. Ha rapporti di collaborazione consolidati con i Servizi Educativi di San Marino e con il Centro per le Famiglie di Rimini, organizzando serate a tema su diverse tematiche, in particolare sui bisogni dei bambini, le relazioni interfamiliari e il valore delle regole.
Gentile dottoressa ho letto con interesse l’articolo. Io ho due gemelli maschi (non monozigoti) molto diversi tra loro. Uno dei due (T) gioca prevalentemente con bambole e costruzioni con temi femminili l’altro (G) invece ha giochi esclusivamente maschili. In generale T fatica a rapportarsi con bambini maschi aggressivi ed è molto riflessivo e sensibile. Qualche volta esprime il desiderio di essere una femminuccia. Ho sempre pensato che facesse tutto questo per differenziarsi dal gemello ma comincio ad essere preoccupata che possa incontrare sempre più difficoltà a rapportarsi con altri maschietti. Non gli ho mai negato i giochi femminili per non ferirlo, anche se gli ho sempre ricordato che è un maschio. Lui sa che a casa può tranquillamente fare dei giochi femminili ma che a scuola ciò non gli viene concesso perchè difficilmente questa cosa sarebbe accettata dagli altri bambini e adulti. La mia preoccupazione maggiore è che lui si senta diverso dagli altri bambini e che ne possa soffrire. A tre anni lo abbiamo fatto vedere da un neuropsichiatra infantile che però non si è espresso molto perchè il bimbo era troppo piccolo. Secondo lei posso fare qualcosa per aiutarlo? Grazie Laura