Ragazzi e web: pericoli e potenzialità

Ormai non ci stupiamo neanche più: è diventato normale vedere i ragazzi con gli occhi sempre incollati sullo schermo del cellulare. Dappertutto: in metropolitana, per strada, a casa. Studiano con il cellulare sulla scrivania, pronti a reagire al primo trillo. Si fa fatica a convincerli che almeno a tavola devono abbandonarlo, e non tutte le famiglie ci riescono.
I ragazzi usano il web per informarsi; ogni volta che hanno una curiosità, corrono a consultare Internet, e questo è bene; ma lo usano anche – anzi, soprattutto – per comunicare, anche tra loro. E noi nonni, in particolare, siamo un po’ disorientati: sentiamo spesso parlare dei pericoli del web, ma ne abbiamo una percezione un po’ generica e lo viviamo con un allarmismo che poi non riesce a individuare con precisione i veri rischi.
Ne abbiamo parlato con un vero esperto, Luca Botturi, che insegna l’uso dei media nell’educazione nella Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana a Locarno, e che ha condotto numerosi progetti sull’educazione al digitale con scuole del Nord Italia.
Lo abbiamo bombardato di domande, e lui ci ha risposto con grandissima disponibilità e la concretezza di una persona che ha a che fare ogni giorno con i ragazzi.

Whatsapp e gli altri sistemi di messaggistica: quali sono i pericoli? Che cosa fare/non fare quando si chatta? È pericoloso fornire informazioni personali attraverso questo mezzo, anche quando lo si fa con persone fidate (possono per esempio essere carpite, anche se chi le riceve non le diffonde consapevolmente)?

Sul Web nulla può essere considerato “sicuro al 100%”: stiamo parlando di una rete, quindi di un sistema esteso, in parte incontrollabile, e frequentato da oltre 4 miliardi di utenti. In questo scenario, possiamo però dire che in generale i sistemi di messaggistica sono sicuri: Whatsapp ad esempio usa un sistema di crittografia, e questo protegge i nostri messaggi da occhi indesiderati. Facebook (l’azienda che ci fornisce Whatsapp) inoltre non salva e non riutilizza il contenuto dei nostri messaggi.
I rischi legati ai sistemi di messaggistica – che sono strumenti utilissimi, per tanti versi! – sono di altra natura. Il primo è che tendiamo a scrivere cose che normalmente diremmo a voce, come commenti e battute. Questo rende da un lato la comunicazione molto difficile (scrivere l’ironia è una sfida anche per i grandi scrittori!), e dall’altro la rende permanente: un messaggio frainteso può essere ripreso, ripostato e diffuso, creando incidenti complicati e spiacevoli. Inoltre, si creano situazioni inedite di discussione in gruppi: prima di Internet non era possibile discutere a distanza, in tanti, e in tempo reale. Tutti sappiamo quanto sia difficile gestire questi gruppi, ed evitare che vengano usati per creare esclusioni (facciamo il gruppo di tutti tranne la persona X, della quale parliamo male a sua insaputa). Insomma, è facile usare questi strumenti con malizia e anche vigliaccheria, generando o amplificando situazioni di bullismo.
Un ultimo elemento da considerare è il tempo: tramite i messaggi siamo virtualmente sempre raggiungibili, anche se qualcuno ci scrive di notte (e per questo è salutare spegnere il proprio smartphone quando si dorme). Inoltre, gli ambiti di vita non si dividono più: sono a casa ma posso chattare con i compagni di scuola o i colleghi. Questo non è un male in sé, ma può rendere pesante la gestione di spazi di vita che non riconoscono più limiti naturali, inficiando il nostro benessere.

Su Facebook c’è un limite di età, 13 anni, ma immagino che ci siano bambini che si registrano ugualmente, magari dando informazioni false. Esiste questo fenomeno? Comporta dei pericoli “giuridici”? E comunque, che cosa fare/non fare su questi social (anche qui, in tema di diffusione di informazioni personali, di fotografie eccetera).

Il General Data Protection Regulation (GDPR), emanato dall’Unione Europea e recepito in tutti gli Stati, suggerisce di porre un limite legale di età tra i 13 e i 16 anni per l’uso di applicazioni che implichino la diffusione di dati personali. L’Italia ha scelto 13 anni, e questo vale per tutti i social (e non solo!). Il limite è ragionevole: esprime la convinzione del legislatore che prima di una certa età i bambini e gli adolescenti non siano un grado di capire il valore e la delicatezza dei propri dati personali.
Per qualche motivo, a noi adulti sembra spesso inaccettabile che dei bambini di quinta elementare o di prima media non possano chattare con i loro compagni, quindi regaliamo loro uno smartphone e permettiamo che usino questi strumenti. Educativamente, la domanda chiave è: qual è la necessità di avere uno strumento costoso, difficile da gestire in maniera sicura e che cattura il tempo e la mente dei nostri figli?
In un recente studio (fine 2019), dei ricercatori hanno chiesto ai genitori quanti avessero comprato lo smartphone ai figli per non renderli degli esclusi rispetto ai loro compagni; ha risposto affermativamente circa il 90% di loro. Questo significa che semplicemente i genitori immaginano che tutti gli altri genitori abbiano regalato ai loro figli un telefonino, ma in realtà non è così: la maggior parte dei genitori sarebbe d’accordo a rimandarne l’acquisto, perché non ne vede la necessità. È un interessante caso di profezia autoavverantesi: tutti pensano che una cosa sia vera (mentre in realtà non lo è), e così facendo la rendono vera.
Ora, i social hanno aspetti utili di diffusione delle informazioni, ma sono principalmente enormi macchine pubblicitarie che raccolgono e vendono i nostri dati personali. Riteniamo giusto che dei ragazzini svendano la propria identità (cosa gli piace, le cose che fanno a scuola, i loro primi innamoramenti, ecc.) per poter ricevere pubblicità personalizzate? Sui social, a differenza che nei sistemi di messaggistica, quanto pubblichiamo resta di proprietà dei gestori, e sfugge al nostro controllo: un post sciocco fatto oggi potrebbe riemergere tra 5 o 6 anni… è facile farsi male con ingenuità.

Un altro tema importante è quello di imparare a distinguere le informazioni e identificare le fake news. Come come insegnare ai ragazzi a distinguere?

Il tema delle fake news è fondamentale, e forse oggi anche fin troppo “strombazzato” in chiave politica. Il punto che è Internet contiene più informazioni di quante ne possiamo ragionevolmente gestire, quindi è importante trovare delle fonti affidabili e imparare a usare bene i motori di ricerca. Non esiste la “bacchetta magica”: è un lavoro da fare con pazienza, e la chiave fondamentale è non accontentarsi dei primi risultati di una ricerca.
Alcuni consigli (che andranno poi adeguati rispetto al tema della ricerca) sono: controllare l’autore di un’informazione e cercare informazioni su di lui o lei; verificare la data di pubblicazione; non fidarsi delle immagini e dei video (che non sono automaticamente “autentici”); non fare affidamento sui commenti o i like degli utenti; fare verifiche incrociate su più siti… e soprattutto chiede anche alle persone, non solo alla rete: spesso abbiamo amici o conoscenti esperti di un tema, che possono aiutarci in maniera più mirata ed efficace che la rete!

È possibile insegnare ai ragazzi  a difendersi dalle manipolazioni, per esempio quelle attraverso la pubblicità mirata?

Questo non è un problema tecnico o tecnologico: ogni generazione ha dovuto convivere con dei media che ne hanno insidiato la libertà di pensiero. Oggi i media sono ovunque, e questo crea un problema non solo per i giovani, ma per tutti. Io credo che la chiave sia nel ridare valore all’esperienza, cioè al prendere contatto diretto con il mondo, senza affidare tutto alla mediazione dei media, e il riflettere su quanto viviamo.
Questo significa che non posso parlare di migranti o di clima o di impresa solo in base a quanto leggo su Facebook (fidandomi della selezione che un anonimo algoritmo fa per me, e che lo fa per soldi): posso andare a parlare con chi è in prima linea (migranti, volontari, imprenditori, climatologi), posso coinvolgermi (andare facendo volontariato, o uno stage, o semplicemente coinvolgendomi con chi conosco o con i miei vicini, ecc.), posso leggere dei libri, posso anche andare a cercare di proposito opinioni diverse e contrastanti, per non fossilizzarmi su un’unica opinione. In pratica, bisogna cercare di andare all’origine, di farsi un’idea in prima persona. Se c’è questa ricchezza di contatto con il mondo, allora anche i media sono utili, altrimenti diventano uno specchio deformante. Poi devo sempre pensare che potrei sbagliarmi, o non aver considerato alcuni fattori, e quindi andare a cercare un confronto con persone di cui mi fido. Con la consapevolezza che la verità non è merce che si vende e si compra, e che raramente sta tutta da una parte.

Come evitare di finire, anche involontariamente, su pagine a pagamento?
Non credo si possa evitare. Ma si può (e si deve) sempre cercare di verificare se una pagina è a pagamento o meno, e tramite quale processo è stata verificata e pubblicata.

È il caso di applicare dei filtri all’uso del web?
Sì, è importante applicare dei filtri per eliminare almeno il grosso della spazzatura che si trova nel web, e che è tantissima! Questo è fondamentale soprattutto per i più piccoli, che inavvertitamente possono prendere in mano il nostro telefono e incontrare immagini che li perseguitano poi per anni.
Esistono filtri efficaci per il WiFi (ad esempio, il servizio gratuito OpenDNS), e sempre di più anche per i dispositivi mobili: anche i produttori hanno capito che questo è un problema importante per i loro clienti.

I pericoli dei siti pedopornografici: come evitarli, come mettere in guardia i ragazzi (senza accendere curiosità).
Questo è un tema enorme, i cui risvolti psicologici e sullo sviluppo trovo siano ben presentati dal libro Tutto troppo presto di Alberto Pellai, a cui rimando.
Io credo che non dobbiamo nasconderci dietro a un dito: dobbiamo dire che la pornografia mette a rischio uno sviluppo armonico dell’affettività e della sessualità dei giovani (ma anche degli adulti), e che è un mercato enorme in cui di fatto si commercializzano degli esseri umani. Se siamo genitori o educatori, dobbiamo essere i primi a prendere le distanze seriamente da tutto questo. Se predichiamo bene e razzoliamo male, se siamo in fondo indulgenti, i ragazzi se ne accorgeranno subito.
Poi possiamo pensare a come parlarne con i ragazzi, senza fare moralismi e senza illuderci che vivano in un mondo perfetto. Le statistiche ci dicono che più della metà degli adolescenti ha incontrato o incontra in maniera regolare contenuti pornografici. Secondo la mia esperienza, anche i preadolescenti capiscono che la pornografia in qualche modo snatura la bellezza delicata e fragile dei primi innamoramenti: sono un primo timido impulso a cercare chi ci vuole bene totalmente, e non solo a ottenere una soddisfazione fisica individuale. I ragazzi capiscono anche molto bene che la pornografia è un prodotto commerciale, non una rappresentazione di un rapporto rispettoso tra amanti. Il senso del pudore innato in ognuno di noi ci avverte di questo, e va preso sul serio, mentre spesso gli si fa violenza per adeguarsi ad un percepito “standard” imposto dall’esterno.

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