Una bambina che sembra rifiutare la mamma
La nostra consulente, la psicologa Monica Accordini (Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia, Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano), risponde a una mamma preoccupata perché la sua bambina, dopo una gravidanza difficile e la nascita della sorellina, sembra quasi rifiutarla. Come mai? E che cosa fare? Ecco i suoi consigli.
DOMANDA
Ho una bambina di quasi 4 anni e una di 2 mesi. Ho avuto una gravidanza difficile e problemi dopo il parto e di conseguenza già da durante la gravidanza non potevo stare con la figlia grande. In più lei a causa di una malattia polmonare non va più a scuola materna.
Io e suo padre lavoriamo da casa. Cerchiamo di stare il più possibile con lei. Ma lei si è trasformata da una bambina educata e rispettosa in una maleducata e piena di capricci. Tutto ciò che non deve fare, lo fa. Ci risponde male (anche ai nonni), spesso strilla e si butta per terra. Quando cerco di essere più affettuosa, rifiuta i miei abbracci anche in modo violento. Quando cerco di parlare con lei di questi problemi, distoglie sguardo e cambia discorso.
Noi cerchiamo in tutti i modi di mettere in atto i consigli trovati su vari manuali (mantenere la calma, renderla partecipe, farla stare di più con i nonni ecc…) ma sembra che nulla funzioni; così noi perdiamo controllo e con tutta la buona volontà alla fine finiamo per urlare, il che ovviamente peggiora la situazione. Un circolo vizioso. Non sappiamo più cosa fare.
RISPONDE LA PSICOLOGA MONICA ACCORDINI
Cara mamma,
purtroppo, da quanto leggo, la bimba ho subito moltissimi cambiamenti in un periodo tutto sommato circoscritto di tempo, cambiamenti che hanno destabilizzato lei e sconvolto la vostra routine e il vostro equilibrio familiare. È dunque normale attendersi un periodo di assestamento. Per poter rispondere in modo davvero esaustivo alla sua domanda avrei bisogno di maggiori dettagli: per esempio, come è stata gestita la nascita della sorellina, come lei e suo marito organizzate la giornata con le due bambine e quali cambiamenti ci sono stati con la nascita della secondogenita? Allo stesso modo, sarebbe utile avere maggiori informazioni circa la malattia che ha colpito la bambina: si tratta di una condizione cronica? In che modo ha dovuto/dovrà modificare la sua vita?
Io provo ad immaginare una bambina che, d’un tratto, si trova senza i propri compagni di classe, senza i giochi e le routine cui era abituata e magari sottoposta a cure e limitazioni di natura medica. Immagino una bambina che, magari, fatica a comprendere appieno perché la sua mamma non può essere con lei, la immagino alle prese con l’arrivo in casa di una sconosciuta (perché di fatto la sorellina lo è per lei) con cui si trova a condividere affetto e tempo di genitori e nonni. Immagino una bimba alle prese con emozioni più grandi di lei che probabilmente fatica a gestire e a incanalare (per esempio, il gioco con i compagni e la materna potevano essere un canale di sfogo oltre che un contesto in cui sperimentarsi in autonomia che, per motivi medici, non le è più possibile frequentare) e dunque non fatico a pensare che possa essere arrabbiata e frustrata.
D’altra parte immagino anche una mamma affaticata da una gravidanza difficile, potenzialmente preoccupata dal dover gestire la malattia di una bambina in contemporanea a un proprio malessere. Immagino una mamma che, magari, si è sentita in colpa per questo e che adesso fatica a “tenere il passo”, sente di aver giocato tutte le carte possibili e di aver, in ogni caso, perso o compromesso il legame che aveva con la propria figlia. Anche in questo caso, quindi, non faccio fatica a immaginare la rabbia, la frustrazione e la stanchezza.
Purtroppo queste emozioni generano un clima di tensione che si auto alimenta e verso il quale qualunque strategia (di quelle che probabilmente avete già letto sui libri o su altri siti) non è che un piccolo palliativo. Mamma, la rabbia, la rabbia che accomuna lei e sua figlia, è un sentimento potente ma primitivo, sotto la rabbia c’è sempre un dolore che cerca un modo per venire fuori. È in questo senso importante che aiutiate vostra figlia a verbalizzare questo dolore, a “buttarlo fuori” dando un nome alle emozioni incontrollate che la animano, a esprimerlo nel gioco, nel disegno e, piano piano nelle parole. E anche voi, non abbiate paura a raccontarle il dolore, condividerlo non significa “scaricarglielo” addosso, significa essere onesti e ammettere che la vita talvolta ci mette davanti a dei momenti di crisi e che, in questi momenti, la famiglia si unisce e vi fa fronte.
Se vedete che questo processo risulta per voi troppo difficoltoso o non trovate un canale per comunicare con vostra figlia, rivolgetevi a un professionista che vi aiuti in questo delicato processo di ricostruzione della vostra famiglia.
A lei e alla sua famiglia un caro augurio.
Monica Accordini
Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia
Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC)
Via Nirone, 15 – 20123 Milano MI
Tel. 02.7234.5961
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