Carlo Collodi – La Bella dai capelli d’oro
C’era una volta una bellissima principessa. I suoi capelli, del color dell’oro, le scendevano fino ai piedi; per questo la chiamavano la Bella dai capelli d’oro. La fama della sua bellezza si sparse per il mondo e raggiunse il giovane re di un paese vicino, che, anche senza averla vista, se ne innamorò e mandò un ambasciatore per chiederla in sposa. Fece fabbricare apposta una magnifica carrozza per il suo ambasciatore, gli dette più di cento cavalli e cento servitori e gli raccomandò di tornare potando con sé la principessa. Appena l’ambasciatore si fu messo in viaggio, il re, certo che la principessa avrebbe acconsentito di sposarlo, cominciò a farle preparare degli abiti bellissimi e dei mobili di gran valore. La Bella dai capelli d’oro però rispose che non voleva sposarsi e rimandò indietro l’ambasciatore e tutti i regali che le aveva inviato il Re. La risposta della principessa gettò il re nello sconforto. A corte non si parlava d’altro: com’era possibile questo rifiuto? Un giorno uno dei paggi del re, un bellissimo ragazzo che si chiamava Avvenente, disse senza riflettere: “Se il re avesse mandato me dalla Bella dai capelli d’oro, sono sicuro che avrebbe accettato.” Il re, che si trovava a passare di lì, lo prese in parola e gli propose di andare lui, in veste di ambasciatore, a chiedere la mano della principessa. “Datemi solo un bel cavallo e qualche lettera da poter presentare da parte vostra,” rispose Avvenente “e partirò domani stesso.” Così si mise in viaggio. Dopo qualche giorno di viaggio, una mattina Avvenente si trovò a passare per una gran prateria e si fermò per rinfrescarsi sotto un albero. Ed ecco che vide sull’erba un pesce. Era un carpione color dell’oro che boccheggiava perché aveva fatto un salto così lungo che era andato a cadere sul prato, dove stava quasi per morire. Avvenente ne ebbe compassione, perciò lo prese e lo rimise nella corrente del fiume. Appena il carpione sentì il fresco dellacqua, cominciò a sguazzare e andò sul fondo; ma poi, ritornato a fior d’acqua, disse, avvicinandosi tutto vispo alla riva: “Avvenente, io vi ringrazio vostro aiuto. Senza di voi sarei morto e voi mi avete salvato. Io non sono un ingrato e saprò ricambiarvi!” Quindi sparì sott’acqua. Qualche giorno dopo Avvenente si imbatté in un corvo inseguito da una grandissima aquila che stava lì lì per agguantarlo. Il giovane non perse tempo e, preso l’arco che portava sempre con sé, lanciò una freccia contro l’aquila che, vistasi a mal partito, fuggì in volo verso il bosco. Il corvo, tutto allegro, si andò a posare su un ramo e disse: “Voi mi siete venuto in aiuto. Ma non avete trovato un ingrato; all’occorrenza saprò ricambiarvi!” Avvenente continuò la sua strada. Una mattina, all’alba, nel traversare un gran bosco sentì un gufo che strillava disperato. Il ragazzo si guardò intorno con attenzione e vide alcune reti che erano state tese per acchiappare gli uccelli. Tirò fuori il suo coltello e tagliò le funicelle delle reti. Il gufo prese il volo, ma tornò subito indietro: “Avvenente,” disse, “i cacciatori stavano per arrivare: senza il vostro soccorso, mi avrebbero ucciso. Ma io ho un cuore riconoscente, e saprò ricambiarvi.” Finalmente Avvenente arrivò al palazzo della Bella dai capelli d’oro e chiese di vederla per portarle la sua ambasciata. Per accoglierlo, la principessa indossò il suo abito di gala e si fece intrecciare i lunghi capelli con una ghirlanda di fiori. Finalmente fu pronta: passò nella sala dei grandi specchi per rimirarsi, poi salì sul trono e ordinò di far entrare Avvenente. Il giovane pronunciò il suo discorso, le diede le lettere e le chiese di accettare la richiesta del re e di diventare la sua sposa. “Garbato Avvenente”, rispose la Principessa, “io sarei contenta di accettare. Ma un mese fa andai a passeggiare con le mie dame di compagnia lungo il fiume e, nel togliermi il guanto, un anello a me carissimo mi uscì dal dito e cadde nell’acqua. Lascio immaginare a voi il dispiacere che provai! E ho giurato di non dare ascolto a nessuna trattativa di matrimonio se l’ambasciatore che verrà a propormi lo sposo non mi riporterà prima il mio anello.” E con questa richiesta lo congedò. Quando fu tornato a casa, Avvenente se ne andò a letto senza mangiare nemmeno un boccone . Tutta la notte il giovane non fece altro che sospirare. “Dove posso ripescare un anello che è caduto nel fiume un mese fa?”, diceva. “Sarebbe una pazzia soltanto a provarsi! La principessa lo ha detto apposta per mettermi nell’impossibilità di ubbidirle!” All’alba si diresse al fiume e cominciò a passeggiare sulla riva, scoraggiato e pensando di dover ripartire, quand’ecco che a un tratto sentì una voce che lo chiamava: “Avvenente! Avvenente!” Si voltò a guardare da tutte le parti ma non vide anima viva. “Chi è che mi chiama?” domandò. “Avvenente, Avvenente!” sentì di nuovo. Allora chinò lo sguardo verso il fiume e vide un pesce che nuotava a fior d’acqua e che gli disse: “Voi mi avete salvato la vita e vi promisi che vi avrei ricambiato. Ecco qui l’anello della Bella dai capelli d’oro.” Avvenente si chinò e prese l’anello che il pesce aveva in bocca, ringraziandolo. Corse poi difilato al palazzo e diede l’anello alla principessa dicendo: “Ecco, il vostro ordine è stato eseguito. Ora prenderete per vostro sposo il mio padrone?” Quando la principessa vide il suo anello, rimase così meravigliata che credeva di sognare. “Davvero”, disse, “si vede proprio che voi avete una fata dalla vostra, altrimenti questi miracoli non si fanno. Ora però rendetemi un altro gran servizio, senza il quale non c’è modo che io possa decidermi a prendere marito. Vive non lontano da qui il principe Galifrone, che si è messo in testa di volermi sposare. Egli mi ha minacciato, dicendo che se io non lo sposo, metterà lo scompiglio e la desolazione nel mio regno. Ma io non voglio sposarlo: figuratevi che è un gigante più grande di una gran torre ed è capace di mangiare un uomo come una scimmia mangerebbe una castagna. Quando va in giro per la campagna, si mette in tasca dei piccoli cannoni, dei quali poi si serve come se fossero pistole; e quando parla forte, fa diventar sorde tutte le persone che gli stanno vicine. Gli ho risposto che non volevo sposarmi e lui ha cominciato a perseguitarmi. Quindi bisogna che voi vi battiate con lui, e che mi portiate la sua testa.” Avvenente rimase sbalordito da questo discorso, ma disse: “Ebbene, signora, io mi batterò con Galifrone. Credo che avrò la peggio, ma in ogni modo morirò da valoroso.” Uscito dal palazzo, il giovane si mise subito in cerca delle armi e di tutto l’occorrente. Quand’ebbe ciò che voleva, montò sul suo cavallo e andò nel paese di Galifrone. Finalmente arrivò in vicinanza del castello del gigante: tutte le strade erano seminate d’ossa e di carcasse d’uomini, che esso aveva divorati o fatti in pezzi. Dopo un po’ Avvenente vide comparire Galifrone dietro al bosco. La sua testa sorpassava gli alberi più alti, e con una voce spaventosa cantava:
Chi mi porta dei teneri bambini da farli scricchiolare sotto i denti? Ne ho bisogno di tanti e poi di tanti che in tutto il mondo non ce n’è bastanti.
E subito Avvenente si mise a cantare:
Fatti avanti, c’è Avvenente che saprà strapparti i denti. Non è un colosso di figura, ma di te non ha paura.
Quando Galifrone sentì questa risposta, si voltò e vide Avvenente colla spada in pugno. Egli si infuriò tanto, che, afferrata una mazza di ferro, avrebbe ucciso con un colpo solo il ragazzo se un corvo non gli si fosse messo sulla testa e non l’avesse beccato negli occhi. Così Avvenente riuscì a vincerlo e a tagliargli la testa. Finita la battaglia il corvo, che si era posato sul ramo di un albero, gli disse: ”Io non ho dimenticato il servizio che mi rendeste, facendo fuggire l’aquila che mi stava assalendo. Vi promisi di contraccambiarvi, e credo di aver pagato il mio debito.” Avvenente ringraziò il corvo e montò subito a cavallo, portando con sé la spaventosa testa di Galifrone. Quando arrivò in città, tutta la gente gli andava dietro gridando: “Ecco il bravo Avvenente, che ritorna dall’aver ucciso il gigante Galifrone.” Il giovane andò difilato dalla principessa e le disse: “Signora, il vostro nemico è morto. Voglio sperare che ora non direte più di no al re, mio padrone.”
“Ah! senza dubbio”, replicò la Bella dai capelli d’oro, “io gli dirò sempre di no, se voi prima della mia partenza non trovate il modo di portarmi l’acqua della caverna tenebrosa. C’è qui, poco distante, una grotta profonda e grandissima. Sull’ingresso stanno due draghi che ne impediscono l’entrata e che buttano fiamme dalla bocca e dagli occhi. Dentro grotta c’è una buca nella quale bisogna scendere, ed è piena di rospi, di ramarri e di serpenti. In fondo a questa buca c’è una piccola nicchia, dalla quale scaturisce la fontana della bellezza e della salute: io voglio a tutti i costi di quell’acqua. Ogni cosa lavata con quell’acqua diventa meravigliosa. Io non posso lasciare il mio regno senza portarne con me un po’.” “Signora,” egli rispose, “vado a cercarvi ciò che voi desiderate, colla certezza nel cuore di non tornare più indietro.”
Così il povero Avvenente partì per andare alla grotta tenebrosa, a cercarvi l’acqua della bellezza. Tutti quelli che lo incontravano lungo la strada dicevano: “Che peccato vedere questo bel giovane correre in bocca alla morte! Egli va alla grotta da solo, ma se anche fossero in cento, non riuscirebbero nell’impresa.” Egli continuava a camminare e non diceva nulla, ma era triste, molto triste.
Arrivato sulla cima della montagna, si sedette per riposare, guardandosi intorno per vedere se scopriva l’ingresso della grotta. Ed ecco che vide uno dei draghi che buttava fuoco dagli occhi e dalla gola. Il drago aveva il corpo verde e giallo, dei grossi unghioni e una coda lunghissima, che si attorcigliava in più di cento giri. Avvenente, ormai certo di morire, prese la sua spada e si avviò con la boccetta che la Bella dai capelli d’oro gli aveva dato perché la riempisse con l’acqua della bellezza. Proprio in quel momento sentì una voce che lo chiamava: “Avvenente! Avvenente!”
Egli si girò e vide un gufo appollaiato su un ramo, che gli disse: “Voi mi avete liberato dalle reti dei cacciatori e mi avete salvato la vita. Ho promesso di rendervi il favore, e il momento è giunto. Datemi la vostra boccetta. Io conosco tutti gli anfratti della grotta tenebrosa: andrò io a prendervi l’acqua della bellezza.” Avvenente gli diede subito la sua boccetta e il gufo entrò nella grotta. E in meno d’un quarto d’ora tornò e riportò la boccetta piena. Il giovane ringraziò il gufo e tornò in città.
Andò subito al palazzo e presentò la boccetta alla Bella dai capelli d’oro, la quale non ebbe più nulla da ridire.
Ella ringraziò Avvenente, e diede l’ordine di prepararsi per la partenza. Poi si mise in viaggio con lui. Finalmente giunsero alla Capitale, e il re, sapendo che la Bella dai capelli d’oro stava per arrivare, andò a incontrarla e le presentò i più bei regali del mondo. Furono fatte le nozze, e la Bella dai capelli d’oro e il re vissero a lungo felici e contenti. E Avvenente? Divenne il consigliere più fidato del re, che lo colmò di doni.
Trovi un’altra fiaba di Carlo Collodi anche a questo link: Carlo Collodi – Le fate
Ma non è completa il finale era che il re divenne geloso di avvenente e lo fece rinchiudere ,la bella non vedendolo più lo fece cercare infine lo trovò e si sposarono la bella e avvenente