Il ruolo dei nonni nelle famiglie adottive
Diventare nonni di un bambino adottivo: un’esperienza splendida, ma che per essere davvero tale ha bisogno di venire “preparata” e “accompagnata”. A parlarcene è Alessandra Santona, psicologa, docente nell’Università di Milano e consulente del CIAI, il Centro Italiano di Aiuto all’Infanzia che da sempre si occupa di adozioni internazionali seguendo le famiglia anche dal punto di vista psicologico, sia nel periodo che precede l’adozione, sia in quello immediatamente successivo.
E il CIAI dedica da sempre un’attenzione particolare ai nonni, con seminari e incontri indirizzati proprio a loro, perché crede nella valorizzazione di questo ruolo, particolarmente significativo e delicato anche nella famiglie adottive.
Ma cominciamo dall’inizio. I nonni sono chiamati a dare un consenso all’adozione…
“Sì, ma non è vincolante. Ci sono casi in cui i nonni lo negano, magari per preconcetti culturali: talvolta è difficile per loro accettare l’idea di un bambino che non sia ‘sangue del proprio sangue’, o anche, com’è il caso dei ‘nostri’ bambini, che venga da molto lontano con tratti somatici decisamente diversi da quelli dei genitori adottivi. In genere queste resistenze, presenti all’inizio, si attenuano però con l’arrivo del bambino, perché anche i nonni si lasciano poi conquistare da lui (o lei). Quando rimangono, si creano purtroppo delle situazioni di tensione in famiglia, che non giovano a nessuno.”
E quando arriva il nipote?
“Il nostro consiglio è che, almeno nei primissimi tempi, i nonni siano un po’ defilati. Il bambino infatti all’inizio è travolto da tante cose nuove: i genitori, naturalmente, ma poi la casa, il paese, la lingua… Perciò è bene lasciare alla nuova famiglia un po’ di tempo per assestarsi e fare in modo che per il bambino i genitori diventino le figure principali di riferimento. In questa fase, i nonni hanno comunque un ruolo importante, ma come supporto ai genitori. Hanno il compito di sdrammatizzare, dare il giusto peso alle difficoltà che inevitabilmente i genitori incontrano, fornire un aiuto pratico… In questo modo a poco a poco si crea anche il giusto clima di confidenza e di intimità tra nonni e nipoti, senza sovrapposizioni di ruoli.”
Una volta nata questa confidenza e superato il periodo iniziale, in base alla vostra esperienza nel rapporto con i nipoti i nonni fanno delle differenze tra nipoti adottivi e nipoti, chiamiamoli così, ‘biologici’?
“Quando hanno superato il dolore legato alla mancanza di fertilità della coppia e alla necessità di abbandonare l’idea di trasmettere ai nipoti una parte di se stessi, e anche del loro patrimonio genetico, per i nonni non c’è nessuna differenza. Anzi, nei nonni che hanno sia nipoti ‘biologici’ e sia nipoti adottivi si avverte quasi una preoccupazione al contrario: fanno di tutto per non manifestare mai ai bambini una preferenza, perché hanno paura che il nipote adottivo possa soffrirne. E questo può perfino minare la spontaneità del rapporto. Infatti ogni bambino è diverso, e perciò è naturale che il rapporto con ognuno dei nipoti sia diverso, perché è legato alle caratteristiche dei bambini e non al fatto che siano ‘biologici’ o adottivi.”
Qual è il compito più importante affidato ai nonni dei bambini adottivi?
“Sicuramente quello di raccontare ai nipoti la loro storia. Questo è un punto chiave per i bambini adottivi: hanno bisogno di ricostruire la propria storia, che è fatta purtroppo anche di abbandono e di difficoltà. La famiglia adottiva ha sempre delle informazioni sul passato del bambino, anche se spesso non sono molto ampie. Invece i bambini chiedono con insistenza notizie sul loro passato. Bisogna quindi innanzitutto che anche i nonni siano al corrente di queste informazioni e che i genitori concordino con loro la storia da raccontare al bambino. Sì, perché naturalmente bisogna sempre dirgli al verità, ma in un modo che gliela renda accettabile. Uno dei punti sui quali i bambini tornano di più è la ragione dell’abbandono da parte della loro mamma ‘biologica’ e nel rispondere bisogna evitare di trasmettere un’immagine negativa di questa mamma. Noi suggeriamo di dire che lasciare un bambino è, paradossalmente, un gesto d’amore da parte di genitori che non hanno imparato a fare i genitori. Naturalmente, il tutto con un linguaggio che sia adatto all’età del bambino: sarà l’amore e la confidenza che si instaura in famiglia a suggerire il modo più adatto.”
Ma nell’adozione internazionale oggi in genere non arrivano bambini molto piccoli, quindi immagino che questi bambini abbiano dei ricordi…
“Sì, è così. Anzi, se i bambini non hanno ricordi, è peggio: questi bimbi parlano di un “buco nero” che per loro è molto pauroso. In questi casi, la famiglia deve cercare di ricostruire per loro un passato, immaginando la loro storia ma ammettendo chiaramente che non sa molto (‘potrebbe essere andata così…’)”.
E per quel che riguarda la storia della famiglia adottiva?
“Anche in questo i nonni hanno un ruolo centrale. Ai bambini piace moltissimo sentirsi raccontare di ‘quando la mamma giocava con le bambole’, di ‘quella volta che il papà è caduto e si è fatto male’, di quando ‘in vacanza al mare facevamo i castelli di sabbia’, di quando ‘il papà ha imparato ad andare in bicicletta”… E chi meglio dei nonni può raccontare il passato della famiglia, che a poco a poco diventa anche il passato del bambino?”
Un ruolo fondamentale dunque, il nostro, anche nelle famiglie adottive. Ci vuole tanto amore, tanta pazienza, tanta disponibilità e tempo per aiutare questi bambini, come tutti i bambini del mondo, a diventare uomini e donne forti e sereni. Quell’amore, quella disponibilità e quel tempo che noi nonni sappiamo donare.
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