Liliana Gualandi, la “nonna di tutti”

Liliana Gualandi.
Liliana Gualandi.

È la “nonna di tutti”. Non solo perché ha 14 nipoti, e oggi anche un bisnipote. Ma perché tutti coloro che la incontrano si sentono in qualche modo “adottati” da lei, indipendentemente dalla loro età. Ed è quello che è successo anche a me, a dispetto della mia età certo non più giovane: mi è bastato incontrarla per esserne subito conquistata. Stiamo parlando di Liliana Gualandi, una delle fondatrici del CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia), insignita nel 2012 dell’Ambrogino d’Oro per la sua attività a favore dell’infanzia.

Classe 1932, Liliana emana quella dolcezza che deriva da una serenità profonda. “Ho avuto una vita fortunata”, dice di sé.  “La cosa più bella è averli visti crescere, essere andata alla laurea di uno, al matrimonio di un altro…
La sua forza? Essere aperta all’ascolto e all’accoglienza, sempre, verso tutto e tutti, fino ad arrivare a modificare profondamente la propria vita, i propri piani, per dare una famiglia a un bambino. Ed è proprio così che Liliana è diventata per la prima volta una mamma adottiva.
Ecco come ci racconta questa esperienza: “Io e il mio fidanzato eravamo in un parco, quando abbiamo visto una giovane donna incinta circondata da alcuni uomini che la stavano spintonando. Siamo intervenuti e l’abbiamo accompagnata al brefotrofio, lasciandole poi i nostri recapiti. La bambina è nata due giorni dopo e noi l’abbiamo tenuta a battesimo. Poi abbiamo saputo che la mamma l’aveva data a balia. Qualche mese dopo però ci chiamò la balia, dicendoci che la mamma non si faceva più viva e che lei non sapeva che cosa fare della bimba. Naturalmente, a quel punto l’abbiamo presa noi: era l’unica scelta possibile. Immagini che ho detto a mia madre ‘esco un momento con il mio fidanzato’ e sono tornata tre ore dopo con la bambina in braccio!
Siamo nel 1957, un’epoca in cui le madri non sposate venivano bandite, trattate come prostitute, perdevano immediatamente il lavoro, e,come ricorda Liliana, non avevano neanche la patria potestà sui figli. Ma anche trovarsi ad adottare da un momento all’altro una bimba, per una ragazza così giovane com’era Liliana, e per di più non ancora sposata, non era certo una scelta così facile…
Allora, non esisteva neanche una vera normativa per le adozioni. “Le coppie a quei tempi andavano al brefotrofio, dove c’era una sala enorme con le culle disposte a ferro di cavallo” racconta Liliana, “sceglievano il bambino che volevano e lo portavano a casa. E succedeva anche che dopo qualche giorno lo riportassero indietro e lo cambiassero”.

logo_ciaiÈ stato sulla spinta di questa esperienza personale, che Liliana ha cominciato ad occuparsi di adozioni, dapprima prendendo parte all’Associazione Famiglia Adottive, che contribuì alla prima delle leggi sull’adozione dei minori, quella del 1967. Poi, un anno dopo, fondando insieme ai marito e ad altre coppie di genitori adottivi il CIAI, che si occupa di adozioni internazionali e che oggi opera in molti Paesi asiatici e africani.
Oggi il bambino, che fino a meno di cinquant’anni fa non era nessuno, ha dei diritti, quindi per adottarlo c’è tutto un iter che proteggere non solo il bambino, ma anche le madri. Un tempo le donne non avevano neanche la patria potestà, quindi un bambino che non fosse riconosciuto dal papà non era nessuno. Oggi viceversa c’è una grandissima attenzione non solo al bambino, ma anche alla madre e al padre naturale, e per paura di rompere questo rapporto si finisce con l’aspettare molto prima di dichiarare adottabile un bambino, che così deve restare molti anni nelle comunità di tipo familiare che dal 2006 hanno sostituito i brefotrofi.

Liliana Gualandi (al centro) con alcune famiglia adottive.
Liliana Gualandi (al centro) con alcune famiglia adottive.

Il CIAI segue passo passo le coppie che intraprendono il percorso dell’adozione, aiutandole non solo negli aspetti pratici, ma offrendo loro anche un supporto psicologico attraverso una serie di incontri, indirizzati sia a chi è in attesa del bimbo sia a chi lo ha già, per permettere alla famiglia di accogliere e seguire al meglio il bambino, rispondendo alle sue più autentiche esigenze.
Le famiglie infatti non sono abbandonate a se stesse dopo l’adozione, ma vengono seguite, anche perché i Paesi stranieri chiedono per un certo lasso di tempo delle relazioni periodiche su come stanno andando le cose” spiega Liliana. “Insomma, il bambino non è abbandonato neanche quando è entrato nella famiglia adottiva.

Ma quali sono le difficoltà, pratiche e psicologiche, che una famigli si trova ad affrontare quando arriva il bambino che ha adottato?
La prima difficoltà è proprio della famiglia” dice Liliana. “In genere infatti a decidere di adottare sono coppie che non riescono ad avere figli, quindi per loro l’arrivo di un bambino, e in particolare di uno dei ‘nostri’ bambini, extraeuropei e quindi visibilmente diversi dalla mamma e dal papà, significa quasi mettere in pubblico le proprie difficoltà nel concepire.
Questa è la prima difficoltà. Poi, c’è la difficoltà legata all’età del bambino. I genitori di un neonato ‘possiedono’ il bambino, c’è una “fisicità’ nel rapporto che non è possibile avere con i bambini più grandi, come sono quelli che arrivano oggi. Inoltre i genitori adottivi non hanno esperienza di bambini, e questi rende ancora più impacciato il primo impatto. Questo tanto più che il bambino, per quanto abbia un gran bisogno di coccole e abbracci, è diffidente: i ‘nostri’ bambini (
quelli seguiti dal CIAI, n.d.r.)è come se si difendessero dal lasciarsi andare all’affettività perché a livello inconscio hanno paura di un altro abbandono”.
Quindi bisogna prima di tutto vincere le resistenze dei bambini…
Certo! I bambini in genere all’inizio tendono a rifiutare la madre: per loro, è la mamma quella che li ha abbandonati.  Perciò le figure femminili sono quelle da cui si difendono di più, mentre in genere non hanno sperimentato la figura maschile, quindi hanno meno problemi nei confronti dei papà. Per le mamme quindi succede che i primi tempi siano duri perché i bambini le provocano, quasi per metterle alla prova e vedere se il loro affetto è tanto forte da non venir meno neanche davanti a bambini che ‘fanno i cattivi’. La difficoltà è quindi quella di interpretare il comportamento di un bambino di cui i genitori all’inizio sanno ben poco. Ma è in questo modo che si diventa genitori: i genitori adottivi devono conquistarsi questo ruolo…”.

E com’è il rapporto con i nonni di questi bambini?
In genere, soprattutto all’inizio, la figura preferita è il nonno (maschio), proprio per le ragioni di cui parlavo prima” risponde Liliana. “I nonni però hanno un bel vantaggio: non sono obbligati a educare il bambino, e questo è già un bel sollievo. In più, per il bambino i nonni sono più fragili dei genitori, perché sono più anziani, magari hanno qualche difficoltà, quindi in qualche modo li sente più vicini a sé. Se i nonni riescono a giocare su questo, si crea una grande complicità che aiuta tantissimo i bambini.  E poi, i nonni hanno il piacere di raccontare la storia: quella della loro figlia, del loro figlio, di quando erano piccoli. E questa è proprio la storia che ai nostri bimbi manca, e che loro interiorizzano, rendendola la loro storia. Ma nel frattempo, buttano fuori pezzettini dei loro ricordi, che è importante cogliere al volo e valorizzare, integrandoli con quelli della famiglia, per aiutarli a costruirsi un racconto organico, quello delle loro radici.
E i nonni, come affrontano l’esperienza di diventare nonni adottivi?
Partono con un atteggiamento del tipo ‘mio figlio è matto’, perché il primo pensiero è che vada a prendersi un bambino già grandicello, figlio di chi sa chi e con una storia terribile. Quindi la prima reazione è ‘quelli sono fuori di testa’. Questa è in genere la posizione iniziale. Poi quando parte la pratica dell’adozione e c’è il periodo dell’attesa, comincia a maturare un diverso stato d’animo.
La cosa più difficile per loro però è quando il bambino arriva e ferisce i loro figli, appunto respingendoli, come dicevo prima. In questi casi, i nonni, che non hanno seguito tutto l’iter di preparazione delle coppie, ci stanno male, perché non capiscono che questo apparente rifiuto è in realtà una richiesta di amore da parte di un bambino che ha paura. Però nel frattempo però si mettono in moto delle altre dinamiche, perché intanto conoscono il bambino e cominciano ad avere un rapporto personale con lui. E lui un po’ alla volta riesce a vincere tutte le resistenze. Sono dinamiche difficili, ma bellissime.
Ma è opportuno che i nonni entrino in contatto da subito con il bambino?
Guardi, gli psicologi dicono di no, che è meglio che per un periodo il bambino abbia come figura di riferimento solo i genitori, ma io non sono d’accordo. Io penso che il bambino abbia una capacità enorme di accoglienza. Perché togliere ai nonni la gioia di accogliere il bambino, andando incontro in aeroporto alla mamma e al papà che arrivano con il nuovo nipotino, oppure andando a trovarli a casa, portando un giochino, cominciando a giocare con lui… Il bambino sa distinguere tra le varie figure. E poi, oggi quando una coppia va a prendere un bambino nel suo Paese di origine resta lì circa un mese proprio per iniziare a conoscerlo. Naturalmente, l’importante è che i nonni non si intromettano nell’aspetto educativo, che spetta ai genitori.

 

Sul tema dell’adozione trovi un altro articolo anche al seguente link:
Nonni di un bambino adottivo
Il ruolo dei nonni nelle famiglie adottive

Trovi informazioni sul CIAI e sulle sue attività al seguente link: CIAI

2 commenti su “Liliana Gualandi, la “nonna di tutti”

  1. come al solito, quando parla liliana, mi viene un groppo alla gola. perché riesce veramente a raccontare le cose così come sono, e da quando, “insieme” a lei, abbiamo adottato 3 bambini, che ormai bambini non sono più, la sua presenza e le sue parole ci aiutano nei momenti di difficoltà ma non solo. abbiamo riso insieme, qualche volta pianto, e sempre col cuore. anche questo ha fatto dei nostri figli quello che sono. grazie liliana, a presto

    1. Caro Fabio,
      grazie per questa testimonianza. Anche io, nel breve incontro che abbiamo avuto, ho percepito il suo grande calore umano. Spero di essere riuscita a trasmetterlo nel pezzo.
      Buona serata
      Annalisa Pomilio

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