Risponde lo psicologo – Un maschietto che gioca con le bambole…
La psicologa Manuela Arenella risponde a una domanda delicatissima e che oggi è forse particolarmente di attualità: che cosa fare se il bambino ama giocare con le bambole e con altri giochi femminili? Sentiamo il suo parere.
DOMANDA
Sono un’insegnante di scuola media piena di dubbi sulla psicologia evolutiva, per questo mi affido a lei!
Ho un bimbo di 5 anni che ama molto le Barbie con i vestiti ampi da principessa, ama i trucchi e tutte le cose che luccicano. Avendo una sorella di 9 anni molto amante dei vestiti e dei trucchi (anche io sono spesso tentata dai bei vestiti e uno dei miei sogni da bambina era quello di diventare una stilista….) e con cui va molto d’accordo ciò è abbastanza naturale.
Lo scorso anno le maestre mi hanno fatto notare che il bimbo era molto attirato dai giochi da femmina, disegnava spesso le femmine ed era spesso circondato da femmine (è un bimbo molto carino e dolce e alle bambine piace molto!). Le maestre mi facevano capire che non sapevano neanche loro come fare e che se provavano a dirgli che era meglio giocare con i giochi da maschio diventava nervoso.
Io spaventata ho iniziato a sottolineargli a ogni occasione che lui è un maschio e deve giocare con i maschi e gli ho nascosto ogni tipo di Barbie. Ma così mi sono accorta che dentro di sé si scatenava una rabbia che cercava di non farmi vedere perché penso mi vedesse agitata.
Le maestre hanno chiesto un colloquio con loro e la direttrice. Il loro consiglio è stato quello di chiedere un parere a un esperto perché anche loro erano in difficoltà e si rendevano conto che vietargli le cose era peggio e che il piccolo, che è molto intelligente, quando qualche maestra lo vedeva usare il rosa si giustificava dicendo che in quel momento usava il rosa perché è il colore della pelle delle persone (forse aveva paura che gli dicessero che era una femmina!).
Una neuropsichiatra infantile a cui mi sono rivolta solo telefonicamente mi ha sollevata dicendo che a 4 anni i bambini sono alla ricerca della propria identitàe sono curiosi e mi ha tolto subito il fantasma del bimbo gay; mi ha detto che era molto importante non vietargli le cose, ma giocare con lui per capire che cosa veramente pensa.
Ora che ha 5 anni ha voluto iniziare il calcio e ha stretto di più con i suoi amici, però se può mi chiede di giocare con le Barbie anche se adora anche usare il trapano con suo babbo o salire sugli alberi (aiutato dal padre). Le maestre dicono che sta tirando fuori la sua parte maschile anche se rimane un bimbo molto sensibile e molto portato ad aiutare quelli più piccoli.
Ho sentito di altri bimbi che hanno attraversato queste fasi, capisco che mio figlio non è l’unico, ma da cosa dipende tutto ciò?
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
Gentile Signora, per rispondere alle sue domande non posso che ribadire alcuni concetti già espressi nell’articolo sui giochi da maschi e da femmine(trovi l’articolo a questo link: Giocattoli diversi per maschietti e femminucce?)
Il percorso attraverso cui si forma l’identità sessuale è lungo e articolato; parte dalla grande svolta dei tre anni e procede attraverso giochi di identificazione complessi, fino alla pubertà.
È solo verso i 12-13 anni, con la maturazione fisiologica, che si completa l’identità sessuale, prima basata su esperienze sparse, sulla base di impulsi.
Sulla formazione dell’identità di genere del bambino (il sentirsi maschietti o femminucce) influisce poi molto il modo in cui i genitori vivono la propria identità di uomini e donne e che aspettative hanno rispetto ai loro bambini.
Per tornare alla sua domanda, cominciamo col dire che oggi come oggi non ci sono più grosse differenze tra l’educazione di un maschio e quella di una femmina. Ma anche se l’educazione tende ad essere “unisex”, in realtà le dichiarazioni di principio vengono spesso contraddette da quelle che sono le aspettative più profonde, inconsce. In questi casi anche i genitori più evoluti, accaniti sostenitori della parità dei sessi, lanciano, senza accorgersene, messaggi più “tradizionali”.
Si tende ad accettare poco le manifestazioni di aggressività da parte delle bambine, pur sapendo che questa pulsione favorisce l’intraprendenza, l’autonomia, eccetera. Allo stesso modo si tende a non incoraggiare, nei maschietti, la sensibilità, la delicatezza, la tenerezza, mentre si sostiene la forza, la grinta, eccetera.
Anche nella scelta di giocattoli, fiabe, dvd, si tende a condizionare i bambini ad assumere un ruolo “maschile” o “femminile”, nel senso più tradizionale del termine.
È innegabile che le bambine preferiscano giocare con le bambole, e i maschi con le pistole ad acqua e fucili. In questa preferenza entrano in gioco aspetti culturali e sociali (senza dimenticare i messaggi televisivi da cui i bambini sono quotidianamente bombardati), ma anche aspetti antropologici: i bambini sfogano nel gioco della guerra la loro aggressività più manifesta e fisica; le bambine, attraverso il gioco con le bambole, allenano non solo “l’istinto materno”, ma anche la capacità di riprodurre quel mondo di relazioni e affetti, a cui sono più portate, fin da piccole.
A volte ci sono bambine più combattive di tanti maschi, e maschi più sensibili e delicati di tante bambine.
Eppure, mentre i genitori non si preoccupano nel vedere la figlia che fa il “maschiaccio”, le cose cambiano quando è il maschio dedicarsi a giochi “femminili”.
Molto spesso, come testimonia anche la domanda in questione, i bambini, piuttosto che sentirsi chiamare “femminuccia” o sopportare la disapprovazione dei genitori, rinunciano ad esprimere nel gioco, e non solo, alcuni aspetti che possono far sospettare un’inversione di tendenza sessuale, che la maggior parte delle volte non c’è.
Le vie dell’inconscio sono molto più complesse, e non è affatto detto che la maggior parte dei gay da piccolo giocasse con le bambole o si vestisse da donna.
La tendenza ancora troppo diffusa a reprimere nei figli maschi le inclinazioni femminili che emergono spontanee nel gioco fa parte dei pregiudizi di un’educazione che tende ad ingabbiare l’indole del bambino in un modello stereotipato di mascolinità. E ovviamente, quando ci si sente costretti e limitati, si scatena una grande rabbia.
Sarebbe più educativo incoraggiare nei maschi qualità da sempre inibite, come la tenerezza, la sensibilità, rendendo normale il fatot di continuare ad esprimerle anche da adulti.
A prescindere dal tipo di giochi o amicizie, che possono anche testimoniare una spiccata curiosità e la voglia di sperimentare cose nuove, quello che conta è capire se quel bambino si “sente” femmina, se ha un’idea di sé al femminile, se esprime il desiderio di essere diverso da quello che è. È a questi segnali che bisogna stare attenti e che possono avere un valore predittivo rispetto al possibile sviluppo dell’omosessualità.
I bambini, se lasciati liberi di esprimersi e di esplorare, giocherebbero mettendo in campo tutti gli aspetti della loro personalità, sia le componenti maschili che femminili, per esprimere sia gli aspetti di tenerezza che di aggressività. Spazierebbero dal giocare con le bambole a improvvisare una guerra, senza preoccuparsi di ruoli o identità di genere.
La vera “rivoluzione” nell’attitudine educativa di genitori e insegnanti dovrebbe essere quella di valorizzare nel bambino proprio quelle differenze che rappresentano la sua individualità di persona, indipendentemente non solo dal sesso, ma dai desideri e dalle aspettative degli adulti.
MANUELA ARENELLA, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza a Bologna, già da alcuni anni tiene corsi di formazione per educatori di asili nido e personale docente, ma anche per genitori, in varie località della Romagna e a San Marino.
Svolge attività libero-professionale presso proprio studio a Bellaria (via Conti 37) e a Bologna. Ha rapporti di collaborazione consolidati con i Servizi Educativi di San Marino e con il Centro per le Famiglie di Rimini, organizzando serate a tema su diverse tematiche, in particolare sui bisogni dei bambini, le relazioni interfamiliari e il valore delle regole.
Risponderà alle vostre domande e sollecitazioni (per scrivere potete utilizzare l’indirizzo mail: [email protected]), anche su temi legati all’attualità e a fatti di cronaca.
E’ sconvolgente pensare che delle maestre convochino una mamma per un motivo così banale. Immagino come tutto ciò abbia potuto far sentire il bambino sbagliato e inadeguato e come possa viverlo come un trauma.
Sono un maestro uomo di scuola dell’infanzia, penso che quelle maestre debbano cambiare lavoro, vogliono privare quel bambino di vivere la sua infanzia proponendo stereotipi insensati, probabilmente perché proprio loro si sentono inadeguate e proiettano le loro nevrosi sui bambini. Se avessi delle colleghe così cambierei scuola.
Gent. Dott., ho un bimbo di 4 anni che gioca con bambole e anche con i giochi da maschi; però mi dice che è femmina oppure che diventerà una femmina. Non so che fare:come comportarmi con lui????
Gentile lettrice,
grazie per essersi rivolta a noi.
Come ha scritto la dottoressa Arenella nell’articolo, l’identità sessuale è un percorso complesso e lungo, che si forma nel giro di diversi anni.
In ogni caso, non è possibile rispondere a una domanda così delicata da lontano, senza avere tutti gli elementi che possano permettere un parere davvero circostanziato. Il nostro consiglio è di parlarne con il pediatra, che saprà consigliarla sicuramente per il meglio indicandole anche, se è il caso di rivolgersi a uno psicologo della sua zona.
Tanti cari auguri per il bimbo e per tutta la sua famiglia
Annalisa Pomilio
redazione di noinonni.it
Tanti