Essere nonni di un bimbo “nello spettro autistico”

Ogni bambino deve essere felice, nessuno dovrebbe avere problemi. Un augurio che facciamo a tutti i bambini del mondo, e che ogni nonno, ogni genitore, ripete con ancora più forza per i propri nipotini, i propri figli.
Però la vita ogni tanto ci pone davanti a delle prove, e dobbiamo essere forti e capaci di aiutare i piccoli che hanno delle difficoltà.
È quello che ci scrive Alessio Trerotola, un nonno meraviglioso che ha deciso di condividere con noi la sua storia di nonno di un bimbo “nello spettro autistico”. Un bimbo che sicuramente, circondato com’è dall’amore e dalle cure della sua famiglia, avrà una vita serena e supererà le sue difficoltà. È l’augurio che noi tutti facciamo al piccolo José e ai suoi cari.

“Il pediatra ha detto che il bambino è nello spettro autistico!”.
Le parole di mia figlia penetrarono nelle mie orecchie e fu gelo! Se in quel momento qualcuno m’avesse dato una coltellata alla schiena non avrei sentito nulla né mi avrebbe fatto più male di quella parola, “autistico”.

La mia mente tornò a quell’11 aprile di un anno prima, quando mia figlia mi pose davanti agli occhi la foto di un’ecografia in 3D in cui si intravedeva un piccolo volto. Un’esplosione di gioia mi pervase, era da tanto tempo che aspettavo questo momento: sarei diventato nonno!
Il caso volle che la notizia mi venisse data l’11 aprile, il giorno in cui era nato mio nonno, a cui sono stato molto legato perché ho passato con  lui i momenti più belli della mia fanciullezza.
In quei giorni il mio cuore palpitava per mia mamma, che era degente in un ospedale dal quale non sarebbe più uscita se non per raggiungere mio papà al cimitero, e  fui felice di darle la notizia che alla fine dell’anno sarebbe diventata bisnonna.

L’attesa fu enorme. La data prevista era intorno al 20 ottobre, ma il 25 non era successo ancora nulla: il bambino si muoveva, ma sembrava che non volesse abbandonare il luogo dove presumo stesse bene. Il 30 raggiunsi mia figlia, mio genero e mia moglie, che era già in Toscana per quel “cuore di mamma” del “non si sa mai…”. Arrivato, salutai tutti e, come facevo da alcuni mesi, accarezzai il pancione e dissi: “Ciao! Nonno è arrivato, adesso puoi uscire tranquillamente!”.
Non so se furono le mie parole o perché era giunta l’ora, alle ore 06:05 del 31 ottobre venne alla luce il mio primo nipote, José.
La notizia ci arrivò dal “babbo” al mattino presto e la gioia mi riempì il cuore. Io e mia moglie ci guardammo e sorridemmo: eravamo diventati “nonni” a tutti gli effetti. Ricordo come se fosse ora la corsa in ospedale, i complimenti ai neo genitori e la foto che feci al mio primo nipote dopo avergli accarezzato delicatamente la manina con il dorso del dito per non “fargli del male”. Ah se ci fossero stati in quel momento i miei genitori e i miei nonni, chissà come sarebbe stati felici di veder il loro pronipote!

Dopo l’entusiasmo del primo incontro iniziarono però i problemi. Occorreva fare delle flebo al bambino. Il cuore mi martellava nel petto. Mi tornarono in mente le parole di mia mamma: “diventare genitori è magnifico, diventare nonni è stupendo anche se le preoccupazioni sono diverse: quelle per il nipote sono maggiori perché maggiore è l’età dei nonni.”
Cinque giorni dopo José arrivò a casa.

Sembrava che tutto fosse passato. Trascorsero le settimane, i mesi. José cresceva ma non parlava né rispondeva al richiamo se non dopo parecchie volte. Non mi detti pensiero perché il pediatra gli aveva trovato una forte otite ed erano iniziate le somministrazioni di antibiotici; e poi, purtroppo nella nostra famiglia c’erano stati già casi di sofferenza nelle adenoidi, e pensai che una volta operato José avrebbe superato i problemi di udito.

Ma arriviamo al momento fatidico in cui mia figlia mi disse quella “maledetta” frase. La mia vita si fermò per un attimo e mi apparve davanti agli occhi il futuro che poteva avere mio nipote: avrebbe potuto studiare? avrebbe potuto lavorare? avrebbe potuto prendere la patente? avrebbe potuto sposarsi ed avere dei figli?
Quelle domande mi giravano nella mente vorticosamente, ma una soprattutto mi tormentava sempre più: “sarebbe guarito?” A questa domanda rispose subito uno dei tanti libri che lessi sull’autismo: “No!”.

In quei momenti, io come nonno mi son trovato disperato. Fino a quando avrei potuto seguire, aiutare, sostenere, mio nipote? Forse fino ai 14 anni, magari se la salute mi sostiene fino ai 18, ma dopo che ne sarà di lui? Sì certo, ci sono i genitori, ma la legge naturale fa sì che,  essendo più vecchi, “attraverseranno il grande fiume” prima di lui; e allora chi lo seguirà, chi si prenderà cura di lui? Sono domande purtroppo senza risposta.

Intanto il tempo passava, José cresceva ma non indicava mai nessuna cosa né parlava in modo “normale”, ma pronunciava a stento solo alcune parole. Io continuavo a sperare che il problema fosse solo di udito: si attendeva il compimento dei tre anni per poterlo operare alle adenoidi e liberare quel nasino che si riempiva sempre di catarro e lo faceva confluire nel padiglione uditivo.

Fortunatamente anche la famiglia cresceva, e  una vispa bambina di nome Gaia, nata nel 2015, aveva portato un po’ di serenità al mio cuore. Gaia sembrava non aver problemi, ma l’esperienza del nipote precedente mi creava seri pensieri, mi impediva di godermi appieno la felicità.
José andava avanti tra una visita medica e l’altra. La Toscana ha una buona assistenza sanitaria, il bambino era seguito da una logopedista due volte alla settimana, e pian piano ci fu qualche miglioramento. Imparò a esprimere i sentimenti con dei gesti che noi facciamo normalmente ma che per lui erano come scalare una montagna. Tuttavia, si isolava spesso e con la sorellina non amava giocare: emblematica la foto che li ritrae tutte due seduti vicini ma “distanti”, come una delle vignette che ritraggono Snoopy con Charlie Brown.

Arrivò il tempo dell’operazione. Altro sussulto al cuore, la speranza che grazie alla chirurgia tutto si sarebbe sistemato. Ma purtroppo l’autismo c’era e sarebbe rimasto.
Quando José rientrò a casa dall’ospedale, la cosa che mi rallegrò di più fu l’accoglienza della nipotina verso il “fratellone”, così calda da far sciogliere tutti i ghiacciai dei due Poli.

Dopo l’operazione si intensificarono le terapie. Il bambino piano piano superava quegli ostacoli che, purtroppo, si presentano ai bambini autistici. Iniziava a dire frasi, anche se senza articoli, a ripetere le domande che gli si facevano, senza dare però la risposta. Per esempio, alla domanda “Vuoi dell’acqua?” rispondeva: “Vuoi dell’acqua” per intendere  sì. Oppure domandava “vuoi dell’acqua” rivolgendosi a me dire “mi dai dell’acqua?”.
La difficoltà maggiore sta nel capire come comportarsi con questi bambini: bisognerebbe organizzare dei corsi per i genitori dei bimbi autistici, senza non lasciarli da soli a consultare una marea di libri o articoli che spesso danno indicazioni errate.

José in questi anni ha fatto ippoterapia (a lui piacciono gli animali, soprattutto i dinosauri, di cui ha una collezione e di cui conosce tutti i nomi – nomi per me difficilissimi),  ha frequentato la piscina e imparato a nuotare, anche se in questo periodo di pandemia  ha dovuto interrompere le attività. Oggi frequenta la seconda elementare, ha una maestra di sostegno che l’aiuta.
Certamente per me resta una spina al cuore,  e credo che ogni nonno possa comprendermi. Tutti noi, e in prima linea i genitori e la mamma, stiamo facendo del nostro meglio per aiutarlo, minuto per minuto. Ora José legge, scrive in stampatello e fa calcoli semplici. Sa contare in avanti ed indietro senza sbagliare un numero e parla con frasi compiute, magari qualche volta senza aggiungere articoli, ma spero che piano piano li inserirà normalmente.

Nel 2017 la famiglia si è allargata con un ulteriore nipotino, Zeno, che ha già capito che deve aiutare il fratello e lo sta coinvolgendo nei giochi, sebbene José lo segua per pochi minuti e poi si ritiri con i suoi animali o con qualche libro da sfogliare (purtroppo non riesce a leggere da solo). Uno dei problemi degli autistici è infatti proprio la concentrazione e la sua durata.
Comunque la “spina al cuore” resta, come restano le domande che mi sono fatto  quando mi è stato detto che José era un bimbo autistico. Oggi alla domanda  “Chi lo seguirà quando non ci saranno più i nonni e i genitori?” se ne è aggiunta un’altra: “Sapranno Gaia e Zeno aiutare José quando resteranno da soli?”.  Lo potrò sapere solo se, passato “il grande fiume”, potrò far da Angelo Custode a tutti loro.

2 commenti su “Essere nonni di un bimbo “nello spettro autistico”

  1. Il cuore di un nonno è immenso, così come le sue preoccupazioni. Siamo genitori, e l amore per i nostri figli ci fa preoccupare per loro, siamo due volte genitori dei lori figli, e la preoccupazione è ancora maggiore, come maggiore, più consapevole, è l amore per i nostri nipoti. Non è egoismo, ma vorremmo essere eterni, per poterli aiutare e proteggere

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