I “perché?” dei bambini

Dopo i due anni, quando il bambino ha ormai acquisito una notevole abilità linguistica e un vocabolario piuttosto ampio, comincia l’età delle domande: “perché” diventa allora il punto di partenza di moltissime conversazioni, in cui gli adulti si sentono investiti da domande che si inanellano una dopo l’altra, diventando spesso via via più complesse, fino a metterli talvolta in difficoltà. È quello che ci racconta Vieko, il nonno di un bambino di quasi quattro anni.

L’esperienza di un nonno

Ecco in che modo Vieko descrive la sua esperienza:

Ormai da circa un anno il mio nipotino di tre anni e mezzo è entrato nell’“età dei perché”. Parlando con altri genitori e nonni constato che è un’esperienza estremamente diffusa e che può durare ancora qualche anno. So di bambini che hanno superato i cinque anni e ne sono ancora molto coinvolti.
Da un lato si tratta di un vero tormentone: i perché si susseguno con un ritmo da togliere il fiato, riguardano ogni cosa, a volte mettono in imbarazzo per la complessità (o l’impossibilità) delle risposte da fornire e le risposte, a loro volta, generano altri perché, sempre più incalzanti in una sequenza infinita… finché, per sopravvivere, l’adulto si autodifende con un (non sempre efficace): “…perché! perché!… perché due non fa tre!”
Però va considerato anche l’altro lato: i perché sono spesso assolutamente deliziosi nella loro innocenza e, soprattutto per i nonni, sono un momento di autentico diletto.
È bellissimo assistere a questo che è sicuramente un segnale che l’intelligenza del bimbo sia sta sviluppando.
I perché sono veramente infiniti e non basterebbero tutti i volumi di una grande biblioteca per contenerli tutti. Perché il gatto ha le zampe e non le mani? Perché il tempo passa? Perché il tram va sulle rotaie e non sul prato? E perché il tramviere ferma solo alle fermate e non dove vuole lui? Perché il mondo è grande? Perché le foglie secche cadono dai rami e quelle verdi rimangono attaccate? E perché l’uccellino ha paura di me anche se non gli faccio male? Perché quel camion è rosso?…
A volte i perché sono insidiosi: dopo aver spiegato al nipotino che deve condividere le sue automobiline con i suoi amichetti, mi sento dire: – Nonno, guarda quell’auto com’è parcheggiata male! Dovresti spostarla.
– Non posso salirci, non è mia.
– E perché non puoi salire su un’auto che non è tua?
Credo che le risposte che il bimbo si attende ai suoi perché non siano quelle più “logiche”, ma quelle più fantasiose, che lo affascinano di più. Ad esempio, al perché gli aerei lasciano una striscia bianca nel cielo, ho sentito un papà rispondere che i piloti amano disegnare e, con una mano fuori dal finestrino, con un gessetto tracciano delle righe bianche nel cielo come su una lavagna. Una spiegazione che è piaciuta molto al bambino, che ama sentirsela ripetere.
Il mio nipotino ripete spesso i perché che hanno avuto una risposta che gli è particolarmente piaciuta e gli piace ascoltare per molte volte sempre la stessa spiegazione. Spesso mi dice: “Nonno, spiegamelo ancora, dal principio”. E io arricchisco ogni volta l’argomento di nuovi particolari, come se fosse un racconto.”

Che cosa esprimono i bambini con i loro “perché?”

Sicuramente tantissimi nonni (ma anche genitori, baby-sitter, educatori…) si riconosceranno nelle parole di Vieko. E tutti probabilmente avranno avuto lo stesso dubbio: ai perché dei bambini bisogna rispondere cercando di dare  una spiegazione “scientifica”, oppure sentendosi liberi di creare spiegazioni fantastiche? Che cosa si aspetta il bambino? E di che cosa ha bisogno?
Oggi, gli psicologi sono generalmente concordi nel dire che non è necessario rispondere sempre i perché del bambino con delle spiegazioni razionali o scientifiche,  anche perché non è questo quello che il bambino si aspetta. Spesso infatti i bambini con i loro perché non chiedono spiegazioni o  soluzioni, ma vogliono richiamare l’attenzione degli adulti, interagire con loro quasi da pari a pari e sentirsi importanti ai loro occhi.

Perciò, in che modo gli adulti possono reagire alle domande dei bambini? Prima di tutto, non bisogna irritarsi, anche quando le domande diventano una catena ininterrotta e francamente snervante e si ripetono anche nei momenti meno opportuni della giornata. Tenete sempre presente che le domande sono comunque una manifestazione di curiosità, il segnale che il bambino guarda con interesse il mondo che lo circonda, e quindi non vanno scoraggiate. Invece, quando il bambino vi fa una domanda, fermatevi e ascoltatelo, facendogli sentire che gli prestate attenzione: alla fin fine, è questo il suo bisogno più profondo, e se lo ignorate o sminuite le sue curiosità potreste renderlo più insicuro.

Che tipo di spiegazioni si aspettano i bambini?

Ma in che modo rispondere? Ai bambini piccoli, sotto i 5 anni, in genere è meglio fornire spiegazioni fantasiose, sotto forma di metafora o di gioco. Sono in quell’età incantata in cui adorano le storie, e attribuiscono un’anima e delle emozioni agli oggetti, e proprio basadosi su questo si può “giocare” con i loro “perché” per inventare storie magiche, come ha fatto il papà citato da Vieko. In questo modo, l’adulto entra nel mondo fantastico del bambino e riesce a stabilire un contatto profondo con lui.  E d’altra parte è evidente che il bambino si aspetta proprio questo tipo di risposta, e in fondo in fondo è consapevole che non si tratta di una spiegazione “vera”, anche se è proprio quella che lui voleva (“Nonno, spiegamelo ancora, dal principio”, dice il nipotino di Vieko, proprio con la stessa frase con cui i bambini di quell’etò in genere chiedono che venga loro raccontata e riraccontata una favola, e non accettano cambiamenti nella narrazione).
Solo più tardi, intorno ai 7 anni, quando il bambino è cresciuto, si potrà cominciare a dare risposte “scientifiche” alle sue domande.

Trovi altre testimonianze di Vieko anche a questi link:
L’amico immaginario
“È mio!”: il senso del possesso nei bambini
Condividere le scelte educative
La conquista del linguaggio
Le esplosioni di ira dei bambini
I “no” di noi “grandi”
Il disegno dei bambini
Giocare per crescere
La maleducazione degli altri: come spiegarla ai bambini

 

 


 

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