Vivere da soli, ma non sentirsi isolati
Ormai i dati demografici parlano chiaro: l’aumento della durata media della vita, insieme al calo delle nascite, fa sì che la percentuale della popolazione formata da “nonni”, cioè persone che hanno superato i 65 anni di età, diventi via via sempre più ampia. Insomma, alla tipica “piramide demografica”, la raffigurazione grafica a cui siamo abituati a pensare, quella che ai nostri tempi si studiava a scuola, si è sostituito una specie di fiasco, che ha una base stretta, un’ampia fascia che si allarga, per poi restringersi nuovamente verso l’alto, con i “grandi vecchi”, quelli che hanno superato i novant’anni (e che comunque oggi sono molti più numerosi di un tempo).
Una buona notizia? Certo, per noi una buona notizia. Per la società nel suo complesso, e soprattutto per i bambini di oggi, non tanto…
Un fenomeno particolare nel fenomeno dell’invecchiamento, però, è l’aumento della percentuale di persone che vivono sole. Ce lo dicono i dati Istat: alla fine degli anni Novanta i nuclei familiari composti da una sola persona erano meno di 1 su 4; oggi la percentuale è salita a 1 su 3 (il 33% delle famiglie), e nelle metropoli è ancora più alta.
Però dimentichiamo lo stereotipo della persona anziana abbandonata che vive in solitudine e ha difficoltà ad affrontare i problemi che la vita inevitabilmente presenta. Certo, in molte situazioni, in particolare quando ci sono condizioni economiche precarie o disagi fisici, vivere da soli aggiunge difficoltà a difficoltà. Spesso però, anzi forse si potrebbe dire sempre più spesso, vivere da soli in età avanzata è una scelta e non equivale affatto a soffrire di solitudine. Insomma, non è detto che vivere da soli significhi essere persone solitarie o che hanno bisogno di aiuto e di conforto. Al contrario, per lo più le persone della terza età che vivono da sole non solo sono un valido supporto per le proprie famiglie (i figli e i nipoti, ma anche i loro genitori, i “grandi vecchi” a cui facevamo cenno), ma sono anche impegnate nel volontariato e nelle associazioni. E poi, in molti casi sono al centro di una vasta rete di relazioni sociali costruite nel tempo, e che continuano a coltivare con intensità: le amicizie, naturalmente, quelle di sempre e quelle che nascono intorno a interessi comuni – la piscina, la palestra, i libri, il cinema, il teatro…
Certo, non per tutti è così e la situazione varia molto da persona a persona; in particolare, gli uomini se la cavano peggio delle donne. Per le donne, in genere le amicizie hanno un ruolo più importante che per gli uomini, e spesso si tratta di amicizie di lunga data e indipendenti dalla vita lavorativa, a cui gli uomini sono più legati. E poi, le donne sono più disposte a cambiare, a sperimentare cose nuove, a imparare, mentre gli uomini restano più legati alle competenze maturate in ambito strettamente lavorativo.
Insomma, per vivere bene da soli bisogna mettere in campo un po’ le stesse capacità utili per la pensione: costruirsi degli interessi e delle amicizie al di fuori dell’ambito lavorativo, “lanciarsi”, mettersi in gioco, guardare avanti, progettare… sognare. Che è una “ricetta” sempre utile, in ogni fase della vita.