Guido Gozzano – La lepre d’argento

C‘era una volta un principe chiamato Aquilino che voleva sposare la più bella principessa del mondo. Pubblicò un bando di nozze e giunsero centinaia di ritratti; li fece mettere nelle gallerie del castello, e passava molto tempo lì, a guardarli e a meditare sulle belle principesse sorridenti nelle grandi cornici dorate.

La scelta cadde su Nazzarena, principessa di Bikarìa; così furono stabilite le nozze.
 Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativi per la cerimonia e all’alba del giorno tanto atteso il principe era già sulla torre più alta, a scrutare l’orizzonte: il corteo doveva giungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima volta quella bellezza famosa!
Il corteo non giunse; si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchietto gobbo e barbuto.
–  Io sono il re di Bikarìa. E questa è la mia figliuola Nazzarena che avete chiesto in moglie.
La principessa era nana, pallida, rugosa, per nulla somigliante al ritratto.
 Il vecchietto si accorse della delusione di Aquilino.
– La stanchezza del viaggio e l’emozione l’hanno sfinita – disse. –  Si rimetterà e la ritroverete bella.

Aquilino voleva disdire le nozze, ma la parola era data e bisognava mantenerla.
 Chiese che la cerimonia fosse rimandata di due giorni e fece sistemare il vecchio e la figlia nel castello.
Il mattino seguente, per distrarsi dalla delusione, uscì a caccia, solo, con un bel fucile d’oro, costellato di gemme.
Camminò per campi e prati e giunse in una foresta millenaria.
 Attraverso un sentiero gli apparve una lepre d’argento che brucava l’erba e lo guardava fisso, per nulla impaurita.
Il principe puntò l’arma e fece fuoco. Ma quando il fumo si dissipò, la lepre riapparve al medesimo posto, incolume e tranquilla.
Il principe si avvicinò e la lepre fuggì, ma si fermò dopo un po’, fissandolo con i suoi calmi occhi umani.
Aquilino sparò ancora. Il fumo si dileguò e la lepre riapparve ancora calma e intatta, seduta sulle zampe, un orecchio su e l’altro giù, con gli occhi supplichevoli e il muso palpitante, proteso verso di lui. Appena però il principe gettò il fucile e cercò di avvicinarsi, fece un balzo e scomparve fra i tronchi degli abeti.

Aquilino si appoggiò al tronco di un albero gigantesco, ripensando allo sguardo dolce della lepre. Ma proprio allora gli parve di sentire dietro di sé, dall’interno del tronco, un suono di musiche e di voci. Si girò, fece il giro dell’albero: nessuno. Si appoggiò di nuovo al tronco, e di nuovo udì il suono e le voci.
Allora bussò sulla corteccia con il pugno.
 La corteccia cigolò, s’aprì rivelando una porta a due battenti, e al principe sbigottito apparve una scala abbagliante. Egli salì i primi scalini, trasognato, e udì il rumore della porta che si chiudeva.
Andò avanti. Il palazzo era immenso. Le scale, i corridoi, le sale si succedevano senza fine, ma non c’era nessuno.
Si fece notte, e ancora nessuno appariva nel palazzo incantato. Solo due mani lo precedevano: una portava una lucerna, l’altra gli faceva segno di seguirla.
Giunsero così in una vastissima sala da pranzo. Aquilino si sedette a tavola e le due mani cominciarono a portare cibi e vini prelibati.
 Egli guardava quelle due mani isolate, volanti, cercava di afferrarle quando le aveva vicine, ma quelle posavano i piatti e guizzavano via come farfalle.
Mangiò, poi sentì di avere sonno e si alzò per andare a dormire. Le due mani lo precedettero in una camera sontuosa, gli fecero un gesto d’addio e scomparvero. 
Egli si mise a letto e si addormentò.

Sognava di rivedere la principessa Nazzarena, non quella portata dal gobbo barbuto, ma quale gli era apparsa nel quadro, bellissima e bionda, quando un rumore lo svegliò.
Socchiuse gli occhi. La stanza era illuminata e molte paia di mani, uguali a quelle della sera prima, guizzavano e s’intrecciavano, indicandolo.
– A che gioco si gioca?
– Alla palla.
– Giochiamo alla palla con quel tale che dorme?
– Chi dorme?
– Là, nel letto, non lo vedete?
E attraverso le ciglia socchiuse il principe vide le mani avvicinarsi. Afferrarono le lenzuola e, tenendole tese agli orli, cominciarono a farlo rimbalzare ridendo. 
Lui continuava a tenere le ciglia chiuse, fingendo di dormire.
– Non vuole svegliarsi!
– Lo sveglieremo! Lo sveglieremo!
E raddoppiarono la foga del gioco crudele.

Al primo canto del gallo le mani lo scomparvero.
Aquilino si sentiva tutto indolenzito e stava pensando a cosa fare, quando udì un fruscio e si vide accanto la lepre d’argento. Invece delle quattro zampe aveva due piedi e due mani di donna.
– Principe Aquilino, io sono la principessa Nazzarena, quella che il vostro cuore scelse come moglie. Quando giunsi nel bosco con il mio corteo, un mago mi trasformò, imprigionandomi con la mia gente in questo castello. Sarò salva se passerete qui dentro tre notti. Il mago è quello che si è presentato a voi come il re di Bikarìa tentando di farvi sposare la sua nanerottola.
La lepre scomparve.
 Aquilino attese ansioso la seconda sera. Mangiò, servito dalle due mani volanti, andò a letto e si addormentò. Si svegliò per il rumore: molte mani lo ripresero dal letto, sollevarono le lenzuola, cominciarono il gioco, più furenti della sera prima.
– Non vuole svegliarsi!
– Se non si sveglia siamo perduti!…
Allora le mani lo fecero rimbalzare  un’ultima volta, appendendolo a un chiodo del soffitto. E scomparvero sibilando.
Aquilino aprì gli occhi e vide la lepre d’argento. Aveva ormai tutto il corpo di donna; solo la testa restava di lepre e lo guardava con dolci occhi umani.
– Povero principe! Soffrite per amor mio ancora una notte e saremo salvi!

Giunse la terza notte. Riapparvero le mani più furiose che mai.
– Si gioca?
– Giochiamo!
– Ma questa notte dobbiamo finirlo!
– Dobbiamo finirlo!
E cominciò il rimbalzello crudele.
Aquilino picchiava contro il soffitto, vi restava appiccicato come una tartina di pasta, ricadeva nel lenzuolo teso, rimbalzava ancora tra le risa infernali. Ma non apriva gli occhi per amor di Nazzarena.
– Non si sveglia! Siamo perduti!
– Siamo perduti!
– È l’alba! Siamo perduti!
Le mani furibonde si avvicinarono alla finestra, tesero le lenzuola e fecero rimbalzare Aquilino a un’altezza vertiginosa. Lui salì, salì, cadde per dieci minuti, picchiò sull’erba, si tastò le ossa doloranti e infine aprì gli occhi, ancora vivo. Si trovava ai piedi dell’albero incantato.
 Vicino a lui stava la sua vera fidanzata Nazzarena, bella di una bellezza mai vista. E aveva il suo seguito di carrozze, di dame, di cavalieri liberati con lei dal malefizio del mago.

Il principe li condusse al suo castello, radunò tutta la Corte nella sala del Gran Consiglio, fece condurre il gobbo barbuto e la sua brutta figliuola, e rivoltosi ai ministri disse:
– Avevo ordinato uno scrigno d’oro e di gemme; un ladro me l’ha rubato strada facendo e l’ha sostituito con un altro di legno tarlato. Per fortuna ho ritrovato il primo. A quale devo dare la preferenza?
– Al primo! – sentenziò la Corte.
– E del ladro e dello scrigno tarlato che dovrò farne?
– Cacciarli per sempre dal regno!
Così fu fatto. E le nozze ebbero luogo fra gli applausi di tutto il popolo.

                                                                                                                 (adattamento da Guido Gozzano, La lepre d’argento)
 

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