Hans Christian Andersen – I cigni selvatici

Andersen - I cigni selvatici- paola minelli
© Paola Minelli

Molto lontano da qui, dove le rondini volano quando qui viene l’inverno, viveva un re con undici figli e una figlia, Elisa. Quando la loro mamma morì, il padre si risposò con una principessa cattiva che non amava affatto quei poveri bambini.
Subito dopo le nozze fece trasferire Elisa in campagna da alcuni contadini e non passò molto tempo che riuscì a mettere in cattiva luce i principini presso il re, tanto che egli non si preoccupò più di loro.
“Volatevene via per il mondo e arrangiatevi da soli!” disse la regina cattiva, che era anche una strega. “Volate via come grandi uccelli senza voce!”
Però non riuscì a far loro tutto il male che avrebbe voluto: i principini si trasformarono in undici bellissimi cigni selvatici, che volarono via dal castello.
Era ancora mattino presto quando arrivarono alla casa dei contadini in cui abitava la sorellina Elisa. Lei però dormiva ancora e non riuscirono a svegliarla. Perciò dovettero riprendere il volo, in alto verso le nubi, lontano nel vasto mondo, finché giunsero a una foresta che si stendeva fino alla spiaggia.

 

Andersen - I cigni selvatici- paola minelli
© Paola Minelli

Passarono i giorni, uno uguale all’altro, ed Elisa diventava sempre più bella.
Quando compì quindici anni, venne richiamata al castello, ma appena la regina vide che era così bella cominciò a odiarla. Avrebbe voluto trasformare anche lei in cigno selvatico, proprio come i fratelli, ma non osò farlo, perché il re voleva vedere la figlia.
Allora la regina andò nel bagno, prese tre rospi, li baciò e disse al primo: “Mettiti sulla testa di Elisa quando entrerà nella vasca da bagno, e rendila indolente come te! Tu invece devi saltarle in fronte” disse al secondo rospo “così che diventi orribile come te e suo padre non la riconosca! E in quanto a te, devi metterti sul suo cuore” sussurrò al terzo animale “e renderla malvagia!”
Poi fece scivolare i tre rospi nell’acqua; quindi chiamò Elisa, la svestì e la fece entrare nella vasca da bagno. Mentre lei si immergeva i tre rospi saltarono uno sul suo capo, uno sulla fronte e l’ultimo sul cuore, ma Elisa non se ne accorse nemmeno. Quando si rialzò galleggiavano nell’acqua tre papaveri rossi: la fanciulla era così pura e innocente che i sortilegi non avevano alcun effetto su di lei.

La matrigna allora la spalmò con succo di noci, le unse il viso con un unguento puzzolente e le arruffò i capelli: ora era impossibile riconoscere le bella Elisa.
Infatti suo padre, vedendola, inorridì e dichiarò che quella non poteva essere sua figlia. Perciò Elisa fu cacciata dal castello.

La povera camminò per tutto il giorno per campi e paludi finché giunse nel grande bosco. Non sapeva dove si trovava, ma era molto triste e provava una grande nostalgia dei fratelli, che erano stati cacciati via dal castello come lei.
Sopraggiunse la notte; Elisa aveva perso la strada e così sedette sul morbido muschio e appoggiò la testa a un tronco d’albero. C’era una grande quiete e l’aria era mite, e intorno a lei si accendevano centinaia di lucciole; quando Elisa con delicatezza sfiorò un ramoscello con la mano, quegli insetti luminosi caddero su di lei come stelle.
Quando si svegliò, il sole era già alto nel cielo, c’era un buon profumo d’erba e gli uccelli le svolazzavano intorno. Elisa si alzò e si avvicinò al vicino laghetto, dalle acque limpidissime e con il fondo di bellissima sabbia.
Quando Elisa si chinò sull’acqua e vide riflesso il proprio volto si spaventò, tanto era brutta, ma le bastò immergersi per veder ricomparire la sua pelle luminosa.
Poi si rivestì e si intrecciò i lunghi capelli, quindi ricominciò a vagare nel bosco, senza sapere dove andare.

Sul sentiero incontrò una vecchia che stava raccogliendo delle bacche selvatiche. Elisa le chiese se aveva visto undici principi cavalcare per il bosco.
“No” rispose la vecchia, “ma ieri ho visto undici cigni con una corona in testa, che nuotavano nel fiume che passa qui vicino!”
E condusse Elisa verso un pendio in fondo al quale scorreva un fiume.
Elisa salutò la vecchia e s’incamminò lungo il fiume, seguendolo finché questo non sfociò nel mare. Lì dovette fermarsi: non poteva proseguire.
Passò così la giornata ma la sera, mentre il sole tramontava, Elisa vide undici cigni bianchi con delle corone d’oro in testa volare verso la riva; allineati com’erano uno dietro l’altro, sembravano un lungo nastro bianco. La fanciulla si arrampicò sulla scarpata e si nascose dietro un cespuglio. I cigni si posarono vicino a lei e sbatterono le loro grandi ali bianche.
Non appena il sole scomparve nel mare, i cigni persero il loro manto di piume e apparvero undici bellissimi principi, i fratelli di Elisa! Lei mandò un grido, si precipitò nelle loro braccia chiamandoli per nome, e loro, riconoscendo la sorellina che si era fatta così grande e bella, si rallegrarono immensamente. Ridevano e piangevano, e raccontarono la loro storia.

“Noi fratelli” spiegò il più grande “voliamo come cigni finché è giorno; non appena il sole è calato, assumiamo le sembianze di uomini: per questo dobbiamo badare bene di avere un luogo per posare i piedi, quando arriva il tramonto. Infatti, se in quel momento stessimo ancora volando tra le nuvole, diventando uomini, precipiteremmo giù.
Noi non abitiamo qui, ma in un paese lontano. Per raggiungerlo, dobbiamo attraversare l’immenso mare e abbiamo solo uno scoglio, molto piccolo, su cui posarci. Lì passiamo la notte e senza quello scoglio non potremmo tornare qui, nella terra in cui siamo nati. Anzi, noi possiamo restare qui solamente undici giorni, i più lunghi dell’anno. Quando veniamo, voliamo sopra questa foresta e rivediamo il castello dove siamo nati e dove vive nostro padre.
Ora possiamo rimanere ancora due giorni, poi dobbiamo partire per la terra in cui siamo costretti a vivere, che non è la nostra patria! Come possiamo fare a portarti con noi?”
Continuarono a parlare tutta la notte e all’alba i fratelli si trasformarono di nuovo in cigni e volarono via. Il più giovane però rimase con Elisa; posò il suo capo di cigno sul suo grembo e lei gli accarezzò le bianche ali. Verso sera ritornarono gli altri, e quando il sole scomparve ripresero la loro forma umana.
“Domani partiremo e non potremo tornare prima che sia passato un anno intero, ma non possiamo lasciarti qui! Hai il coraggio di venire con noi? Le nostre ali saranno abbastanza forti da trasportarti sul mare!”
“Sì, portatemi con voi!” supplicò Elisa.

Per tutta la notte intrecciarono una rete con giunchi e corteccia di salice. Al mattino Elisa vi si sdraiò e, quando i fratelli si trasformarono in cigni selvatici, afferrarono la rete con il becco e si sollevarono tra le nuvole trasportando la sorellina. Volavano così in alto che le navi che vedevano sotto di loro sembravano gabbiani bianchi che galleggiavano sull’acqua.
Volarono per tutto il giorno come frecce nell’aria, sebbene fossero meno veloci del solito perché dovevano portare la sorella. Il tempo peggiorava e la sera si avvicinava; preoccupata, Elisa guardava il sole che calava: lo scoglio non si vedeva ancora! Il sole era già scomparso per metà. Il cuore di Elisa fremeva. All’improvviso i cigni si abbassarono e solo in quel momento lei scorse sotto di sé quel piccolo scoglio: non sembrava più grande di una foca che sporge la testa fuori dell’acqua. I suoi piedi toccarono la roccia proprio mentre il sole scompariva, e subito i cigni si trasformarono in uomini.

Non appena comparve il sole, i cigni e Elisa ripresero il volo. Finalmente avvistarono la terra dove erano diretti: splendide montagne azzurre, con boschi di cedro, città e castelli. Molto tempo prima che il sole tramontasse Elisa si trovò seduta su una roccia davanti a una grande grotta nascosta da piante rampicanti sottili come tende ricamate.
“Chissà cosa sognerai questa notte!” esclamò il più giovane dei fratelli mostrando a Elisa la sua camera da letto.
“Vorrei poter sognare come fare a salvarvi!” rispose la fanciulla.
Quella notte, sognò una bellissima fata che le veniva incontro e le diceva: “I tuoi fratelli possono essere salvati, ma tu devi essere molto coraggiosa e perseverante. Vedi quest’ortica? Vicino alla grotta ne cresce tanta. Tu dovrai raccoglierla, anche se ti brucerà la pelle e te la coprirà di bolle, e da questa ricavare la fibra per tessere undici tuniche da gettare sugli undici cigni selvatici: solo così l’incantesimo verrà rotto. Ma ricorda, dal momento in cui comincerai questo lavoro fino a quando non sarà finito non dovrai parlare: se parlerai, i tuoi fratelli moriranno!”

Elisa si svegliò e vide accanto a sé un’ortica, proprio come quella del sogno. Allora uscì dalla grotta e cominciò il suo lavoro: con le sue mani delicate colse quelle ortiche che sembravano infuocate e si coprì di bolle.
Quando il sole tramontò giunsero i fratelli, che si spaventarono nel vederla così silenziosa, ma capirono che lo stava facendo per la loro salvezza.
Elisa continuò a lavorare senza posa, notte e giorno, per confezionare le tuniche. Una era già finita e aveva iniziato la seconda, quando si udì i suono dei corni da caccia e un grosso cane si affacciò alla sua grotta abbaiando. Dopo pochi minuti arrivò il re del paese, accompagnato dal altri cacciatori, e rimase incantato dalla bellezza di Elisa.
“Come sei arrivata qui, bella fanciulla?” le chiese. Elisa scosse la testa: non poteva parlare, ne andava della salvezza dei suoi fratelli!
“Vieni con me!” disse il re. “Se sei buona quanto sei bella, diventerai la mia regina” e così dicendo la sollevò sul suo cavallo.
Lei piangeva e si torceva le mani, ma il re disse: “Io voglio la tua felicità! Un giorno mi ringrazierai per questo!” e così ripartì tenendola davanti a sé sul cavallo, seguito dai cacciatori.

La condusse così al suo castello, dove le dame di corte rivestirono Elisa di abiti regali, le intrecciarono perle nei capelli e le infilarono morbidi guanti sulle dita bruciate. Elisa però continuava a piangere.
Il re fece suonare la musica, fece preparare le pietanze più prelibate e fece danzare intorno a lei le fanciulle più graziose. Elisa venne condotta attraverso giardini profumati e in saloni meravigliosi, ma sulle sue labbra non comparve mai un sorriso!
Infine il re la portò in una cameretta vicino alla camera da letto di Elisa; era tappezzata di preziosi tendaggi verdi che la facevano assomigliare alla grotta in cui l’aveva trovata; sul pavimento c’era il fascio di fibre che aveva ricavato dalle ortiche e dal soffitto pendeva la tunica già terminata.
“Qui puoi ripensare alla tua vecchia dimora” le disse il re. “Questa è l’attività che ti teneva occupata allora; adesso, in tanto lusso, ti divertirai a ripensare a quei tempi!”
Non appena Elisa vide quegli oggetti si mise a sorridere e il sangue le ravvivò le guance; pensò alla salvezza dei fratelli e baciò la mano del re, che la abbracciò con forza e fece suonare tutte le campane per annunciare il matrimonio. La bella fanciulla muta del bosco diventava la regina del paese!

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© Paola Minelli

Il re le voleva ogni giorno più bene; oh, se solo avesse potuto confidarsi con lui, dirgli la sua pena! Ma doveva rimanere muta, doveva compiere il suo lavoro. Per questo ogni notte andava nella cameretta che somigliava alla grotta e lì tesseva una tunica dopo l’altra.
Stava cominciando la settima, quando restò senza fibra. Doveva assolutamente procurarsi l’ortica, ma come? Uscì di nascosto dal castello, di notte, per andare a raccoglierla. Uno dei consiglieri del re la vide e corse a riferire al sovrano che la sua sposa passava tutte le notti fuori dal castello a raccogliere strane erbe: era una strega! Il re cominciò a essere roso dal sospetto.
Intanto, Elisa aveva quasi terminato il suo lavoro; le mancava ancora una sola tunica, ma era rimasta senza fibra e senza ortiche. Ancora una volta uscì dal castello, ma questa volta mentre raccoglieva l’ortica fu arrestata dalle guardie del re e venne condotta in un carcere buio e umido. Qui, le diedero i fasci di ortica che aveva raccolto per appoggiare il capo, mentre le tuniche ruvide e brucianti che aveva tessuto dovevano essere il suo materasso e le sue coperte.
Lei ricominciò a lavorare: dove assolutamente finire anche l’ultima tunica!

La mattina dopo Elisa fu caricata su un carretto per essere portata al cospetto del re, per la sentenza. Ma anche lì, la fanciulla continuava il suo lavoro: le dieci tuniche giacevano ai suoi piedi, e lei stava terminando l’undicesima.
Erano quasi arrivati quando undici cigni circondarono il carretto. Allora lei gettò in fretta le tuniche sui cigni e subito apparvero undici bellissimi principi. Il più giovane aveva però ancora un’ala di cigno al posto del braccio, perché Elisa non aveva fatto in tempo a tessere una manica all’ultima tunica.
“Adesso posso parlare!” esclamò la fanciulla. “Sono innocente!”
“Sì, è innocente!” disse il fratello maggiore, e raccontò la loro storia.
Il re si avvicinò a Elisa, la prese tra le braccia e le chiese perdono per aver dubitato di lei. Da allora anche i principi furono accolti a corte, e vissero per sempre insieme alla loro coraggiosa sorellina.

(adattamento da Hans Christian, Andersen, I cigni selvatici)

Trovi altre fiabe di Hans Christian Andersen anche a questi link:
I cigni selvatici
Il brutto anatroccolo
I vestiti nuovi dell’imperatore
La Regina delle Nevi

 

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