Guido Gozzano – Nevina e Fiordaprile

C’era una volta una principessa chiamata Nevina che viveva col padre Gennaio.
Lassù, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini, il Re Gennaio preparava la neve con una formula nota a lui solo; Nevina la modellava su piccole forme tolte dagli astri e dalle stelle alpine e poi, quando la cesta era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai quattro punti dell’orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo.

Nevina era pallida e bella come una dea: i suoi capelli erano di un biondo chiarissimo, il suo volto e le sue mani avevano il candore della neve non ancora caduta, gli occhi erano azzurri come i ghiacciai.
Nevina era triste.
 Nelle ore di tregua, quando la notte era serena e stellata e il padre Gennaio dormiva nell’immensa barba fluente, Nevina s’appoggiava alle colonne di ghiaccio, chiudeva il mento tra le mani e fissava l’orizzonte lontano, sognando.
Una rondine ferita che valicava le montagne per recarsi nelle terre del sole era caduta nelle sue mani. Nevina l’aveva curata e fatta volare via, ma la rondine le aveva raccontato del mare, dei fiori, della primavera. E Nevina da quel giorno sognava le terre non viste.

Una notte decise di partire. Passò cauta sulla barba fluente di Gennaio, lasciò il ghiaccio e la neve eterna, prese la via della valle, si trovò nel bosco. Gli gnomi che la vedevano passare interrompevano le danze e la fissavano con occhi curiosi e ridarelli, cercando di fermarla.
– Nevina!
 Nevina! Dove vai?
– Nevina, danza con noi!
– Nevina, non ci lasciare!
Nevina sorrideva, toglieva dalla cesta d’argento una falda di neve, la diffondeva intorno, liberandosi dei piccoli compagni di gioco. E proseguiva il cammino, silenziosa e leggera come una dea.

Giunse a valle, fu sulla grande strada. L’aria diventata tiepida. Nevina
proseguì rapida, percorse un gran tratto di strada. A un crocevia si fermò, con gli occhi abbagliati: davanti a lei c’era una distesa azzurra e senza fine, come un altro cielo disteso in terra, agitato da mani invisibili.
Nevina proseguì sbigottita. La terra intorno mutava. Anemoni, garofani, mimose, violette, reseda, narcisi, giacinti, giunchiglie, gelsomini, tuberose, fin dove l’occhio giungeva, i fiori straripavano come un fiume di petali da cui emergevano le case e gli alberi.
Nevina volgeva gli occhi estasiati sulle cose mai viste e dimenticava di diffondere la neve; poi le sembrava di soffocare per il caldo, e allora lasciava cadere un po’ di neve e formava intorno a sé una zona di fiocchi candidi e d’aria gelida che le ridava il respiro.

Un giovane bellissimo apparve innanzi a Nevina e la fissò con occhi inquieti, sbarrandole il passo.
– Chi sei?
– Sono Nevina, figlia di Gennaio.
– Ma non sai, dunque, che questo non è il regno di tuo padre? Io sono Fiordaprile, e non ti è permesso avanzare sulle mie terre. Ritorna al tuo ghiacciaio!
Nevina fissava il principe con occhi tanto supplici e dolci che Fiordaprile si sentì commosso.
– Fiordaprile, lasciami avanzare! Mi fermerò poco. Voglio toccare quella neve azzurra, verde, rossa, violetta che chiamate fiori, voglio immergere le mie dita in quel cielo capovolto che è il mare!
Fiordaprile la guardò sorridendo e annuì.
– Andiamo, dunque. Ti farò vedere tutto il mio regno.

Proseguirono insieme, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi. Ma via via che Nevina avanzava, una zona grigia offuscava l’azzurro del cielo, un turbine di fiocchi candidi copriva i giardini meravigliosi. Passarono in un villaggio in festa, dove contadini e contadine danzavano sotto i mandorli in fiore.
Nevina volle che Fiordaprile la facesse danzare. Entrarono nel ballo, ma subito i suoni cessarono, l’aria si fece di gelo e dal cielo diventato grigio  cominciarono a scendere, con i petali dei mandorli, quelli gelidi della neve, la vera neve che Nevina diffondeva al suo passaggio.
I due dovettero fuggire.

– Nevina, ti voglio sposare!
– I tuoi sudditi non vorranno una regina che diffonde il gelo.
– Non importa. La mia volontà sarà fatta.
Avanzarono ancora, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, felici… Ma a un tratto Nevina si fermò, pallidissima.
– Fiordaprile! Fiordaprile!… Non ho più neve!… Mi sento morire!… Portami al confine…
Fiordaprile tentò di sorreggere Nevina, la prese fra le braccia, la portò di peso, correndo.
– Nevina! Nevina!
Nevina non rispondeva. Si faceva ancora più pallida.

Fiordaprile la coprì col mantello di seta per difenderla dal sole ardente, proseguì correndo e arrivò nella valle per affidarla al vento freddo del nord.
 Ma quando sollevò il mantello Nevina non c’era più.
Fiordaprile si guardò intorno smarrito, pallido, tremante. Dov’era? L’aveva perduta per strada? Era disperato, ma poi il suo sguardo s’illuminò. Vide Nevina dall’altra parte della valle che salutava con la mano, sorridente.
Il freddo vento del nord la sospingeva per i sentieri nevosi, verso il ghiaccio eterno, verso il regno inaccessibile del padre Gennaio.

(adattamento da Guido Gozzano, Nevina e Fiordaprile

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