Guido Gozzano – Il reuccio Gamberino

Tre giorni ancora e il Reuccio Sansonetto avrebbe compiuto diciott’anni, età che, secondo le leggi del regno, gli permetteva di prendere moglie. Egli stava su una terrazza del palazzo reale, raggiante e impaziente di sposare Biancabella reginetta di Pameria, con la quale era fidanzato fin dall’infanzia.
Ingannava il tempo mangiando ciliegie e scagliando i noccioli sui passanti, con una piccola fionda. I beffati alzavano il viso, arrabbiati, ma lo inchinavano subito, appena riconoscevano il principe. E il Reuccio rideva e i cortigiani ridevano con lui. Passò una vecchina dai capelli candidi e dal naso enorme e paonazzo, e il Reuccio cominciò a sbeffeggiarla: “Oh, comare Peperona! Oh, comare Peperona!…”

E come fu a tiro la colpì con un nocciolo sul naso. La vecchietta si grattò il naso dolente, si chinò tremante, raccolse il nocciolo, lo strinse tra il pollice e l’indice e lo rinviò all’erede al trono. Cento guardie si lanciarono sulle tracce della strega Nasuta, ma quella aveva svoltato l’angolo della via ed era scomparsa.

Quando il nocciolo lo colpì, il Reuccio Sansonetto vacillò, come preso da vertigini; poi cominciò a ridere, premendosi le orecchie con le mani. I cortigiani lo guardavano sbigottiti e inquieti:
“Che cosa vi sentite?”
“Sento… sento…” E il Reuccio rideva, rideva senza poter rispondere.
“Che cosa vi sentite?”
“Sento… sento il tempo che va indietro! Il tempo che va indietro! Che cosa buffa! Ah, se provaste! Che cosa buffa!…”
La Corte lo credeva ammattito. Quando poi si mosse e lo videro camminare all’indietro, tutti scoppiarono a ridere.
“Reuccio, che cosa è questo?”
“È… è che non posso più andare avanti!…”
E rideva, e per quanto tentasse di avanzare non gli riusciva di fare un passo in avanti, ed era costretto a retrocedere come un gambero. Poi riprendeva a premersi le orecchie, a chiudere gli occhi, come preso da vertigini.
“Il tempo che va indietro! Che strano effetto, che cosa buffa, amici miei!…”
I cortigiani ridevano ed egli rideva con loro… E tutti lo credevano ammattito.

Ma non era ammattito. I più famosi medici del regno constatarono veramente che il Reuccio Sansonetto ringiovaniva. Era una malattia nuova e inspiegabile, per la quale non c’era cura. Il Reuccio ringiovaniva. Compì i diciassette, poi i sedici, poi i quindici anni. Prese a decrescere di giorno in giorno: scomparvero i piccoli nascenti baffetti biondi e il suo volto riacquistava un aspetto sempre più fanciullesco.
Sansonetto era disperato. Le nozze di Biancabella di Pameria erano state rimandate, poi rotte del tutto.
“Ragazzo mio, come volete ch’io vi conceda Biancabella?” gli disse il Re di Pameria. “Fra qualche anno sarete un marito bambino, poi un marito lattante, poi nascerete… cioè scomparirete nel nulla…”
Biancabella fu costretta dal padre a rendere il suo anello di nozze; ma lo salutò piangendo e gli promise eterna fedeltà.
“Vi aspetterò finché sarete guarito di questa malattia. Tenete intanto l’anello e portatelo in dito; se avrò bisogno di voi, esso vi stringerà più forte…”
Sansonetto era disperato. Correva a ritroso per le stanze e per i giardini reali, piangendo, strappandosi i capelli. Bisognava rintracciare la vecchietta beffata, supplicarla di farlo ritornare a diciott’anni, di guarirlo. Il Re e la Regina avevano promesso mezzo regno a chi desse notizie della vecchietta, ma nessuno l’aveva più vista.

Sansonetto andava sovente a caccia. Galoppava a ritroso, perché l’incantesimo gamberino si appiccicava pure alla sua cavalcatura.
Un giorno giunse in un bosco, e vide tra gli abeti centenari una casetta minuscola, con una sola porta e una sola finestra. E alla finestra riconobbe il volto della vecchietta che lo guardava sorridendo. Sansonetto s’inginocchio sulla soglia.
“Ah! vecchina, vecchina! Toglietemi questo incantesimo!”
“Dovete riportarmi il nocciolo di quel giorno…”
“Se non è che questo, l’avrete…”
Sansonetto ritornò a palazzo. Ma come ritrovare proprio il nocciolo di quattro anni prima? Ne prese uno qualunque, lo portò nel bosco, lo fece vedere alla vecchina. Lei l’osservò:
“Figliuolo mio, non è quello! quello porta incise intorno certe parole che so io…”

 Il Reuccio capì che non era il caso di cercare di ingannarla, ritornò a palazzo, salutò il Re e la Regina e si mise in cammino, alla ricerca del nocciolo. Si ricordava confusamente d’averlo visto rimbalzare nel rigagnolo della via. Seguì il rigagnolo fin dove questo si immetteva nel torrente. Ma davanti a quelle acque che correvano veloci si sentì prendere dallo sconforto.
Una libellula passò e gli chiese: “Che c’è, bambino bello?”
Lo chiamavano già bambino! Come ringiovaniva in fretta!… Sansonetto sospirò: “C’è che divento sempre più giovane!”
“Poco male, ragazzo mio!”
“Molto male! Fra qualche anno sarò un bambino lattante, poi nascerò, scomparirò del tutto. Mi può salvare soltanto il nocciolo della Fata Nasuta. L’hai visto passare?”
“Io no. Ma ne sentii parlare dai miei vecchi: un nocciolo strano, che portava scritte intorno certe parole… Ha preso la via del mare.”

Sansonetto si mise in cammino, seguì il torrente fino al fiume, il fiume fino al mare. Dinanzi a quell’azzurro infinito perse la speranza e si lasciò cadere sulla spiaggia. Piangeva e guardava le onde accartocciarsi ribollendo; e le lacrime gli cadevano nell’acqua.
“Che c’è, bambino bello?” Era una stella di mare che strisciava lentissima sulla sabbia d’oro.
“C’è che divento sempre più giovane.”
“Poco male, figliuolo mio!”
“Molto male. Nascerò, scomparirò del tutto se non trovo il nocciolo della Fata Nasuta.”
“Un nocciolo strano, inciso di parole che non ricordo… L’ho visto qualche anno fa. Galleggiava tra le onde ed è stato trasportato fino al giardino del gigante Marsilio, fra i monti della Soria… Il gigante è feroce e invincibile: lo potrà vincere soltanto chi gli strapperà un capello verde fra i folti capelli rossi.”

Il Reuccio s’imbarcò su una galea di mercanti e giunse dopo sette settimane in Soria. Ma quando chiedeva del gigante Marsilio, la gente lo guardava stupita e impallidiva: “Il gigante non lascia passare nessuno nei suoi domini. Ogni giorno fa strage di cavalieri temerari che vogliono affrontarlo.”
“Lo affronterò anch’io e vincerò, se questa è la mia sorte.”
E il Reuccio Sansonetto proseguiva. Giunse al regno del gigante Marsilio. A picco nella valle dominava il Castello dalle Cento Torri; sotto di lui si stendevano i giardini immensi circondati da alte mura, e attorno biancheggiavano le ossa dei temerari che avevano sfidato il mostro. Sansonetto suonò il corno di sfida, invitando il gigante a battaglia. Una delle porte immense si aprì e apparve il gigante seminudo e senza armi. Come vide il Reuccio sorrise di scherno. Questi si scagliava contro di lui volteggiando la sua spada affilata; tagliava ora un braccio, ora una mano, ora il naso, ora il mento del gigante, ma il gigante si chinava tranquillo, raccattava il pezzo amputato e lo rimetteva a posto.

Sansonetto mirava alla testa, spiccando salti sul suo cavallo focoso. Già due volte gliel’aveva fatta cadere, ma il mostro si chinava, la raccoglieva, la riappiccicava all’istante sulle spallacce robuste. Una terza volta il reuccio gliela troncò, e appena in terra fu pronto a spingerla sull’orlo d’un declivio, facendola rotolare a valle. Poi si mise a cercare in fretta il capello verde nella folta chioma rossa. Sentiva alle spalle il mostro decapitato che correva, brancolando qua e là; lo sentiva avvicinarsi, ma non trovava il capello micidiale. Allora estrasse la spada e rasò in pochi colpi la testaccia dalla fronte alla nuca: così il capello verde fu tagliato. La testa impallidì, gli occhi dettero un guizzo spaventoso e il gigante, che brancolava all’intorno, cadde con un tonfo sordo. Era morto.

Il Reuccio Sansonetto poté così entrare nel regno di Marsilio. Cercò nei giardini, ma in cinque anni il nocciolo era diventato un ciliegio altissimo, tutto carico di frutti rossi e lucenti come rubini.
Sansonetto ne mangiò uno, poi un altro, e un altro ancora; osservò i noccioli, e ogni nocciolo portava inciso attorno: «grano dell’irriverenza»… A un tratto il Reuccio ebbe come una specie di vertigine e socchiuse gli occhi. Quando li riaprì si trovò dinanzi alla casetta della Fata Nasuta e la vecchietta gli sorrideva. Si guardò, si palpò: era ritornato come alla vigilia delle nozze, con la sua alta statura di diciottenne e i piccoli nascenti baffettini biondi. Provò a fare qualche passo: era risanato dalla buffa andatura gamberina.
“Il tuo errore è espiato” disse la vecchietta “conserva i noccioli del ciliegio salvatore, e seminali nei tuoi giardini.”
“Grazie, vecchietta mia!”
Il Reuccio baciò la buona fata, ma sentiva l’anello donatogli da Biancabella di Pameria stringergli il dito.
“Ah! fata mia, la mia sposa ha bisogno di me.”
“Coraggio, corri alla Corte. Dal canto mio t’aiuterò.”

Sansonetto s’armò di tutto punto e partì di gran galoppo. Sentiva l’anello stringergli, stringergli il dito sempre più… Giunse in Pameria e vide la capitale imbandierata e festante. Chiese perché. “Da una settimana è aperto un torneo a Palazzo Reale. Il Re ha imposto alla figlia la scelta d’uno sposo. E cento cavalieri si contendono la mano di Biancabella. Ma c’è un cavaliere sconosciuto che li abbatte tutti, e si prevede che al tramonto di quest’oggi avrà sbaragliato i rivali.”
Sansonetto accorse al torneo e si mise tra gli spettatori. Il cavaliere misterioso, tutto rivestito di una corazza d’acciaio rosso, stava sbalzando di sella l’ultimo avversario e già il popolo lo proclamava di diritto sposo di Biancabella. Ma Sansonetto calò la visiera e, fra lo stupore generale, scese in lizza. Ed ecco che al primo colpo di Sansonetto l’invincibile campione dà un suono metallico e cupo e cade disteso. Fu scosso, rialzato, aperto. Era vuoto. Il cavaliere rosso era una semplice corazza che la Fata Nasuta aveva inviato alla giostra per eliminare gli altri combattenti e dar modo al Reuccio di giungere in tempo.
Il reuccio Sansonetto alzò la visiera e s’inchinò sugli arcioni, dinanzi alla loggia della sposa. Biancabella quasi venne meno dalla gioia, e il Re abbracciò come figliuolo il giovinetto guarito. Furono celebrate nozze splendide. E i noccioli favolosi, seminati nei giardini reali, crebbero con gli anni e formarono un boschetto detto dell’«irriverenza».

 Disegni di Paola Minelli

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