Risponde lo psicologo – Una diagnosi prenatale che desta preoccupazioni…
Due nonni ci scrivono condividendo con noi una dolorosa esperienze e ponendoci una domanda difficile: come stare accanto ai figli/genitori, in presenza di una diagnosi prenatale che desta delle preoccupazioni? Come aiutarli, senza far pesare la loro stessa preoccupazione? La risposta di Monica Accordini (Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia – Università Cattolica del Sacro Cuore UCSC).
DOMANDA
A breve diventeremo nonni per la terza volta. Eravamo felicissimi, ma qualche giorno fa è arrivata la doccia fredda: il bambino che mia nuora aspetta ha una malformazione cardiaca che renderà necessario un intervento subito dopo la nascita.
Siamo spaventatissimi, come può immaginare. Io e mio marito ci domandiamo anche: come comportarci? Vorremmo essere di conforto ai genitori, aiutarli in questa prova non solo praticamente, occupandoci della primogenita, ma sostenendoli per quanto ci è possibile anche psicologicamente. Però non sappiamo come fare, siamo angosciati e ci sentiamo impotenti: evitare il discorso, quando li vediamo parlare d’altro e cercare di alleggerire l’atmosfera? Parlarne in toni ottimistici e fiduciosi, anche se in realtà abbiamo una grande paura? Abbiamo la sensazione di avere noi stessi bisogno di un aiuto, e in questa situazione ci sembra di essere del tutto impotenti. Quale sarebbe l’atteggiamento “giusto” da tenere (ammesso che riusciamo a tenerlo)?
Grazie per la risposta!
RISPONDE LA PSICOLOGA MONICA ACCORDINI
Cari nonni,
ammetto di avere tergiversato un po’ prima di rispondere a questa domanda, mi sono chiesta se fossi la persona giusta, mi sono chiesta che cosa della mia esperienza di psicologa e di mamma potessi portare per provare a rispondere alle vostre domande. Alla fine mi sono detta che proprio la mia reticenza, proprio il mio sconcerto, proprio la mia incapacità di trovare le parole “giuste” potevano essere la chiave. La mia difficoltà nel trovare le parole, il mio bisogno di “andare in punta di piedi” è anche il vostro. L’evento di una nuova vita che viene al mondo è praticamente sempre associato ad immagini di pace, dolcezza, serenità, una nascita è inevitabilmente un “lieto evento” e la notizia di una problematica congenita rompe in maniera dirompente e tragica questa narrativa e viene a rimescolare le carte di qualcosa che pensavamo certo, incontrovertibile. Di fronte ad un evento sconcertante, cioè a qualcosa che rompe l’armonia che faticosamente pensavamo di avere costruito, è normale non avere parole né chiavi di lettura: tutt’un tratto la musica cambia e i nostri passi, prima armoniosi e a tempo, adesso sembrano movimenti goffi. Che si fa allora quando qualcosa sconvolge il nostro quotidiano con la forza di un tir in pieno viso? Quello che faremmo se, in pista, d’un tratto qualcuno cambiasse la musica: ci si ferma. E si ascolta. Arrangiare dei passi improvvisati o continuare con quelli già noti non cambierà la musica, renderà solo ancora più evidente la dissincronia.
Ogni madre sa bene che partorirà molte volte perché molti sono i bambini che porta dentro di sé; accanto al figlio o alla figlia reali, c’è il bambino che quella donna aveva immaginato o desiderato, ci sono le sue fantasie, le sue attese, le sue paure. Allo stesso modo, accanto al parto reale, c’è il parto per come ce lo siamo immaginati sulla scorta delle esperienze precedenti, dei racconti di amici e famigliari, dei nostri desideri. Ogni donna partorisce molte volte e lo stesso si può dire per un uomo che diventa padre o per dei genitori che diventano nonni. Questi esercizi di fantasia sono un tentativo della nostra mente di preparaci all’incerto, di prefigurarci tutti gli scenari possibili così da non farci cogliere impreparati. Eppure, la nascita è, per definizione, un evento non controllabile: non possiamo sapere quando un bimbo deciderà di venire al mondo, né sapere come sarà, di che colore saranno i suoi capelli (se ne avrà), di che colore i suoi occhi. Nel vostro caso questa incertezza si colma di una angosciosa certezza: questo figlio avrà un problema cardiaco. Questo è, a mio avviso, un dato che non può essere ignorato. Come si sta, allora, in questa attesa senza venire divorati dall’ansia e dalla paura? In due modi: innanzitutto dando voce a questi sentimenti, fermando il turbinio di pensieri e di cose da fare e permettendo all’ansia, alla paura ma anche al dolore e alla rabbia di venire alla luce, di trovare uno spazio e un tempo per essere accolti e, allo stesso tempo, trovando dei piccoli punti saldi cui ancorarvi, delle certezze che, nel presente, possano farvi sentire di avere ancora i piedi per terra. Può trattarsi di rituali che si ripetono sempre uguali e cui voi date un significato profondo, può trattarsi di un oggetto che preparate per il nuovo venuto o per i suoi genitori, può (e dovrebbe) anche trattarsi di avere fiducia gli uni negli altri e nel personale medico che vi sta seguendo.
Per quanto riguarda il rapporto con i futuri genitori, c’è un modo di dire inglese che mi piace molto e che trovo azzeccatissimo: “address the elephant in the room”, cioè “fatti carico dell’elefante nella stanza”. Le parole non dette, i silenzi, il pretendere che nulla sia accaduto quando attorno è tempesta sono enormi elefanti dentro minuscole stanze che, alla fine, saturano tutto lo spazio e non solo non lasciano più aria per altro ma travolgono qualunque cosa trovino sul loro percorso. Questo non significa dover necessariamente affrontare la questione se sentite che vostro figlio e vostra nuora non desiderano farlo, significa però metterla sul tavolo e avere il coraggio di tollerare la fatica dello stare nell’incertezza insieme, ciascuno a modo proprio. Quindi, ascoltatevi e poi ascoltate.
Penso che il più grande regalo che potete fare a questa piccola vita che nasce sia l’insegnamento che è possibile stare davanti al dolore e all’incertezza senza farsene travolgere (è qualcosa che, suo malgrado, lei o lui imparerà molto presto), non storditi o sconfitti ma come dentro un vuoto pieno, agendo da cassa di risonanza. Se poi doveste sentire troppo la fatica di mettere pensiero e parola su queste emozioni, la stanza di terapia è il posto dove portare i non detti e prendersi cura di quell’elefante prima che la sua invadenza diventi distruttiva.
Mi permetto un ultimo pensiero su vostra nipote anche se non è il fulcro della domanda: anche lei avrà bisogno di dar senso, coerentemente con la sua età, a quanto sta accadendo. Aiutatela in questo a dar voce alle sue domande e anche al suo dolore quando arriverà.
Vi mando un caloroso saluto,
Monica Accordini
Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia
Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC)
Via Nirone, 15 – 20123 Milano MI
Tel. 02.7234.5961
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