Risponde lo psicologo – Un bambino che gioca con le bambole…
Quando un bambino gioca con le bambole… Anche per chi è molto aperto all’educazione di gender, non sempre è facile rapportarsi e reagire al meglio, in questi casi. Il parere della psicologa Manuela Arenella.
DOMANDA
Ho due bambini, una femmina di tre anni e un maschietto di cinque, e le scrivo proprio per quest ‘ultimo.
Giovanni ha da sempre manifestato un carattere molto sensibile, è un bambino che fin da piccolino utilizzava i vocaboli con accuratezza, ascoltando e facendo suoi anche termini difficili.
Nel gioco a sempre prediletto gli animali e in particolare i cavalli, tanto che tra i cartoni animali ama quelli dei Minipony, che i media propongo più per il mondo femminile.
Gioca costruendo storie e sceneggiature diverse con i cavallini dei Minipony. Li pettina, li acconcia e talvolta chiede a me di aiutarlo.
La stessa cosa fa con le Barbie di sua sorella: le pettina e le fadiventare i personaggi della sua storia, ma soprattutto adora pettinarle!
Giovanni ama cantare anche in inglese, e per imitare Elsa, la protagnista del cartone animato di Frozen, si traveste con sciarpe per imitare i lunghi capelli e canta la canzone principale del cartone.
Non ho mai dato troppo peso a tutto questo, perché credo che a cinque anni e mezzo possa lasciare libera la creatività. Ora che tra qualche mese inizierà la scuola primaria mi chiedo però se non troverà difficoltà nel manifestare questo suo modo di giocare che è diverso da quello dei bambini maschi della sua classe, più inclini a manifestare rabbia e forza con giochi di guerra, robot ecc. Giochi che sembrano non interessare Giovanni.
Come posso aiutarlo a trovare la sua identità ? E come posso aiutarlo nel momento in cui magari verrà a casa preso in giro dai bambini più grandi?
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
Il percorso attraverso cui si forma l’identità sessuale è lungo e articolato; parte della grande svolta dei 3 anni e procede attraverso giochi di identificazione complessi, fino alla pubertà. I 3-4 anni sono la fase in cui c’è un primo consolidamento dell’identità di genere; attraverso giochi e confronti anche con amici e compagni, ci si identifica con l’essere maschietti o femminucce.
È solo verso i 12-13 anni, con la maturazione fisiologica, che si completa l’identità sessuale, prima basata su esperienze sparse, sulla base di impulsi vari, non definitivamente organizzati.
Sulla formazione dell’identità di genere del bambino (il sentirsi maschietti o femminucce) influisce molto come i genitori vivono la propria identità di uomini e donne (ci sono donne molto “mascoline” o uomini delicati e quasi “effemminati”) e che aspettative hanno rispetto ai loro bambini.
Cominciamo col dire che oggi come oggi non ci sono più grosse differenze tra l’educazione di un maschio e quella di una femmina.
Ma anche se l’educazione tende ad essere “unisex”, in realtà le dichiarazioni di principio vengono spesso contraddette da quelle che sono le aspettative più profonde, inconsce. In questi casi anche i genitori più evoluti, accaniti sostenitori della parità dei sessi, lanciano, senza accorgersene, messaggi più “tradizionali”.
Si tende ad accettare meno le manifestazioni di aggressività da parte delle bambine, pur sapendo che questa pulsione favorisce l’intraprendenza, l’autonomia, ecc.
Allo stesso modo si tende a non incoraggiare, nei maschietti, la sensibilità, la delicatezza, la tenerezza, mentre si sostiene la forza, la grinta, ecc.
Anche nella scelta dei giochi, dei giocattoli, di favole, fil, si tende a condizionare i bambini ad assumere un ruolo “maschile” o “femminile”, nel senso più tradizionale del termine.
È innegabile che le bambine preferiscano giocare con le bambole, e i maschi conv pistole ad acqua e fucili.
In questa preferenza entrano in gioco aspetti culturali e sociali (senza dimenticare i messaggi televisivi da cui i bambini sono quotidianamente bombardati), ma anche aspetti antropologici: i bambini sfogano nel gioco della guerra la loro aggressività più manifesta e fisica; le bambine, attraverso il gioco con le bambole, allenano non solo “l’istinto materno”, ma anche la capacità di riprodurre quel mondo di relazioni e affetti a cui sono più portate, fin da piccole.
A volte ci sono bambine più combattive di tanti maschi, e maschi più sensibili e delicati di tante bambine.
Eppure, mentre i genitori non si preoccupano nel vedere la figlia che fa il “maschiaccio”, le cose cambiano quando è il maschio dedicarsi a giochi “femminili”.
Molto spesso i bambini, piuttosto che sentirsi chiamare “femminuccia” o sopportare la disapprovazione dei genitori, rinunciano a esprimere nel gioco, e non solo, alcuni aspetti che possono far sospettare un’inversione di tendenza sessuale, che la maggior parte delle volte non c’è.
Le vie dell’inconscio sono molto più complesse, e non è affatto detto che la maggior parte dei gay da piccolo giocasse a fare la modella o si vestisse da donna.
La tendenza ancora troppo diffusa a reprimere nei figli maschi le inclinazioni femminili che emergono spontanee nel gioco, fa parte dei pregiudizi di un’educazione che tende a ingabbiare l’indole del bambino in un modello stereotipato di mascolinità.
Non è un errore incoraggiare nei maschi qualità da sempre inibite, come la tenerezza, la sensibilità, rendendo normale il continuare ad esprimerle anche da adulti.
A prescindere dal tipo di giochi o amicizie, che possono anche testimoniare una spiccata curiosità e la voglia di sperimentare cose nuove, quello che conta è capire se quel bambino si SENTE femmina, se ha un’idea di sé al femminile, se esprime il desiderio di essere diverso da quello che è. Lo si evince dal modo in cui parla di sé o si disegna.
Sono questi segnali che possono avere un valore predittivo rispetto al possibile sviluppo di un’‘omosessualità, che comunque non è una patologia!
Non serve a molto “censurare” o vietare certi giochi, serve di più fornire delle alternative.
Può essere d’aiuto osservarlo nell’interazione con altri maschietti per capire come si pone, e soprattutto potrebbe essere utile che il papà lo coinvolga di più in attività da fare insieme, nelle “cose da maschi”, come costruire qualcosa o fare la lotta, ecc.
È il papà il primo modello di uomo, ed è da lui che si impara ad incontrare il mondo da uomo, per cui sarebbe importante incentivare i momenti insieme.
I bambini, se lasciati liberi di esprimersi e di esplorare, giocherebbero mettendo in campo tutti gli aspetti della loro personalità, sia le componenti maschili sia quelle femminili, per esprimere e incontrare sia gli aspetti di tenerezza che di aggressività. Spazierebbero dal giocare con le bambole a improvvisare una guerra, senza preoccuparsi di ruoli o identità di genere.
La vera “rivoluzione” nell’attitudine educativa di genitori e insegnanti dovrebbe essere quella di valorizzare nel bambino proprio quelle differenze che rappresentano la sua individualità, indipendentemente non solo dal sesso, ma dai desideri, e dalle aspettative degli adulti.
Il valorizzare la diversità come espressione di unicità è il più importante antidoto contro le possibili prese in giro, ma è importante che voi genitori per primi siate convinti di questo, e profondamente rispettosi delle unicità di cui il vostro bimbo è portatore.
MANUELA ARENELLA, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza a Bologna, già da alcuni anni tiene corsi di formazione per educatori di asili nido e personale docente, ma anche per genitori, in varie località della Romagna e a San Marino.
Svolge attività libero-professionale presso proprio studio a Bellaria (via Conti 37) e a Bologna. Ha rapporti di collaborazione consolidati con i Servizi Educativi di San Marino e con il Centro per le Famiglie di Rimini, organizzando serate a tema su diverse tematiche, in particolare sui bisogni dei bambini, le relazioni interfamiliari e il valore delle regole.