Risponde lo psicologo – Se la rabbia nasconde una fragilità
Un bambino che non vuole giocare con gli altri, che sembra aggressivo verso i bimbi più piccoli ma timido con i più grandi… Che cosa nasconde questo comportamento? E come aiutare il bambino? La risposta della psicologa Manuela Arenella.
DOMANDA
Mio figlio, di 4 anni e mezzo (purtroppo figlio unico) mi preoccupa per il suo rifiuto di relazionarsi con gli altri bambini. A parte un unico compagno di classe con cui ha rapporti di amore e odio, preferisce giocare da solo, sia in casa che fuori. e lo ribadisce dicendolo, anche davanti ad altri bambini.
Non ama andare all’asilo e dice che il motivo sono i suoi compagni che non vogliono giocare con lui o che non sono suoi amici. Ieri, per esempio, eravamo al parco giochi e su un gioco a due una bambina voleva giocare con lui ma lui ha fatto lo scorbutico e si è rifiutato di farlo. Mio marito dice di non intervenire in questi casi, che deve imparare a vedersela lui con gli altri bambini, ma come faccio a lasciar correre questi suoi comportamenti aggressivi (anche se solo verbalmente) considerando che ce li ha solo di fronte a bambini e/o bambine più piccoli? Davanti a bambini più grandi o comunque in grado di difendersi non ha il coraggio di attaccare e si volta facendo l’offeso.
Un altro problema è che quando c’è qualcosa che non va come vuole, quando ad esempio gli si pone un divieto, reagisce facendo dispetti, buttando a terra quello che ha in mano o anche mettendosi ad urlare. Per lo più cerco di arginare la cosa dicendogli che lo punirò, ad esmepio “se fai quella cosa non vedrai la tv”, e sottolineo che può scegliere di essere o di non essere messo in punizione.
A volte, quando sorpassa il limite e si rende conto che non può tornare indietro e che, quindi, deve pagare le conseguenze, diventa isterico. Sa di avere sbagliato ma non sa cosa fare per rimediare.
In quei momenti io cerco di mantenere la mia posizione ma non è semplice con lui che fa il pazzo.
Come posso comportarmi? Grazie per la risposta!
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
Capisco e condivido la difficoltà nel descrivere in poche righe un mondo di atteggiamenti, frasi e comportamenti che si susseguono di giorno in giorno. Proprio per questo, la prego di prendere tutto ciò che dirò con le pinze, poiché non è basato su nessuna osservazione o conoscenza diretta.
Da ciò che scrive la sensazione è che il suo bimbo stia facendo una fatica enorme a uscire dall’onnipotenza infantile, passaggio fondamentale per relazionarsi con gli altri e tollerare i limiti della realtà. Quelli che lei descrive sembrano atteggiamenti tipici di bimbi che hanno questo tipo di fragilità , che si sentono deboli sotto certi aspetti, ma che faticano ad affidarsi e a chiedere aiuto, per cui indossano una sorta di corazza per affrontare il mondo. Attaccano per non essere attaccati e feriti da un rifiuto; dicono di non volere stare con gli altri perché in realtà temono di non essere voluti, di essere esclusi.
Sfidano l’adulto, anche se l’unica cosa che vorrebbero è sentirsi capiti e aiutati a gestire la pulsionalità che li porta ad andare in tilt di fronte ad un ‘no’.
Non è solo un problema di educazione, credo che qui si tratti di provare a tradurre i comportamenti del suo bimbo come richieste d’aiuto, per arginare un profondo senso di solitudine.
Prima di rimproverarlo si può provare a dirgli che lo vede molto arrabbiato, che secondo lei sta facendo molta fatica, e proporsi di provare a capire insieme cosa lo fa arrabbiare così.
Sarebbe importante che la rabbia si trasformasse in pianto o tristezza per il suo sentirsi “non all’altezza”, per il suo essere escluso.
A mio avviso, il lavoro dovrebbe essere basato da un lato sui limiti e le regole, date in modo efficace, in un contesto di relazione goduta; dall’altro, su iniezioni di fiducia che nutrano l’autostima e facciano sentire il suo bimbo desiderato, ascoltato e tenuto.
Se siamo sicuri di noi, non andiamo in mille pezzi per un cambio improvviso di programma o per qualcosa che non va come vorremmo.
Mi sentirei, comunque, di consigliarle di rivolgersi ad uno psicoterapeuta infantile della sua zona, che possa analizzare come si deve la situazione, coinvolgere anche il papà (sarebbe importante capire anche come si pone lui in tutto ciò) e dare al suo bambino tutto l’aiuto che si merita, per poter “abbassare la guardia” e scoprire che le fragilità possono trasformarsi in delle risorse!
MANUELA ARENELLA, psicologa psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza a Bologna, già da alcuni anni tiene corsi di formazione per educatori di asili nido e personale docente, ma anche per genitori, in varie località della Romagna e a San Marino.
Svolge attività libero-professionale presso proprio studio a Bellaria (via Conti 37) e a Bologna. Ha rapporti di collaborazione consolidati con i Servizi Educativi di San Marino e con il Centro per le Famiglie di Rimini, organizzando serate a tema su diverse tematiche, in particolare sui bisogni dei bambini, le relazioni interfamiliari e il valore delle regole.