Risponde lo psicologo – Preparare un bambino a un lutto
Una bisnonna che sta molto male (purtroppo succede, anche se nn vorremmo mai!) e medici che danno ormai poche speranze. Come preparare il bambino a questo passaggio? I consigli della psicologa Manuela Arenella.
DOMANDA
Vorrei sapere come comportarmi con mio figlio, che ha sei anni, perché ci stiamo preparando a un lutto: mia nonna, la sua bisnonna, sta molto male e i medici ci danno ormai poche speranze.
Come fargli vivere questo passaggio, quando avverrà? Lo porterò con me o è meglio evitare di fargli vedere tutta la famiglia in lacrime? Capita che mi veda piangere e gli ho spiegato che sono triste perché la mia nonna sta molto male. Quando gli ho spiegato che mi dispiace perché tra un po’ di tempo non potrò più abbracciare la mia nonna e che mi mancherà tanto, mi ha detto che mancherà anche a lui.
Forse dovrò assentarmi da casa per due giorni quando succederà, dato che la nonna vive in un’altra regione. Mi dispiace lasciarlo a casa, ma non so se è il caso di fargli vivere da vicino il lutto…
RISPONDE LA DOTTORESSA MANUELA ARENELLA
Gentile Signora, per rispondere alla sua domanda le ripropongo alcune riflessioni sul tema della morte.
La morte è un argomento difficile e delicato, per certi versi inspiegabile, sia a un bambino che a se stessi: nessuno in realtà la può capire. Resta un enigma per tutti, sia laici che credenti, e alla domanda “perché si muore?” non c’è una vera risposta, se non che la morte è l’altra faccia della vita: come diceva la Dolto, “si muore perché si vive e si vive perché si muore”.
Nessuno riesce a “pensare” la morte: il bambino perché, essendo immerso nella sua magica onnipotenza, rifiuta l’idea; l’adulto perché mette in atto lo stesso rifiuto a un livello più inconscio.
Ma anche se a livello profondo rifiutiamo l’idea della morte, non possiamo evitare la sofferenza che genera la morte di un nostro caro.
In questo caso è importante riflettere su come noi adulti viviamo questa sofferenza, per poter contenere poi quella dei bambini.
Neanche la morte è traumatica se accanto al bambino c’è un genitore capace di sostenere l’angoscia, di restituire non un senso di catastrofe insostenibile ma una sofferenza lecita, legata a un evento naturale, che segue il normale corso della vita.
Questo non significa non piangere o tenere nascoste delle cose. Oggi c’è la tendenza ad iperproteggere il bambino, impedendogli di vivere tutte le esperienze di sofferenza, di perdita, di dolore, che pure costituiscono l’altra faccia della vita. Negarle significa rendere i bambini più fragili, privarli degli strumenti cognitivi ed emotivi che si conquistano e si affinano man mano che si affrontano le diverse esperienze.
Un tempo era normale per i bambini avere i nonni in casa e assistere al progredire di una malattia, e alla conseguente morte, come qualcosa di naturale.
I bambini osservavano come si muoveva il contesto intorno al defunto, a sostegno dei familiari; imparavano che era giusto e normale piangere per la perdita di qualcuno, e che il funerale era il modo per salutare il nostro caro, potendo godere del conforto di una comunità che si stringe attorno a noi nei momenti di bisogno.
È importante, come lei sta già facendo, comunicare al bambino la realtà delle cose, ovviamente utilizzando modalità adatte alle diverse età.
Si aspetti altre domande, che compariranno man mano che il suo bimbo “digerirà psicologicamente” ciò che sta accadendo. Molte di queste domande sono inerenti a “dove va la persona che muore”; c’è chi descriverà il paradiso, e chi invece parlerà del fatto che la persona cara resterà sempre dentro di noi, nei nostri cuori.
A prescindere dalla religiosità e laicità, credo sia importante, tanto più quanto più il bambino è piccolo, collocare idealmente la persona morta in un luogo in cui il bambino possa immaginarla (ad esempio in cielo, dove sta facendo le cose che più amava fare quando era viva), e sottolineare sempre un senso di continuità, per cui quella persona la portiamo con noi, nel nostro cuore, e possiamo anche scegliere di parlarle, di dirle delle cose, pur sapendo che non ci potrà rispondere.
Alla fine, quello che il bambino coglie nelle nostre parole, qualsiasi cosa gli diciamo in momenti dolorosi come un lutto familiare, non è tanto il loro significato, quanto il tono emotivo. È importante usare parole che sostengano la speranza, che consolino, senza mai negare la realtà. È importante trasmettere al bambino che, anche se la morte è una realtà inevitabile per tutti, è un evento che si può elaborare e tollerare, senza cadere nel buio della disperazione.
Quanto alla partecipazione all’evento e al funerale, deve chiedersi come si sentirebbe meglio lei. Se pensa di poter vivere il suo dolore in modo comunque “gestibile”, senza trasmettere un senso di catastrofe, allora non ci sono controindicazioni al portare il suo bambino con sé, magari chiedendogli preventivamente se se la sente, e preparandolo a ciò che succederà.
Se invece sente di voler vivere questo momento liberando il suo dolore senza condizionamenti, allora è meglio affidare il bambino ai nonni o persone con cui sta bene e che è abituato a frequentare.
In ogni caso è importante trasmettere il senso del fluire della vita, della morte come un evento naturale che, seppur doloroso, non ci annienta, altrimenti il bambino si farà carico della responsabilità di consolare e sostenere il genitore, rischiando di ribaltare i ruoli!