Risponde lo psicologo – L’unicità: tesoro o fardello?
La nostra consulente, la psicologa Manuela Arenella, risponde a una domanda molto delicata del papà di un bambino in età pre-puberale, alla ricerca della propria identità.
DOMANDA
Ho 44 anni e sono il papà (divorziato) di un bellissimo bambino di 10 anni che frequenta la quinta elementare; un bambino brillante, con ottimi risultati scolastici e tanti interessi.
Un bambino che, per gioco, amava fare il “pagliaccio” prendendo una sciarpa, avvolgendola intorno al collo e dicendo “Sono una femmina”. Un bambino che odia la violenza, la volgarità, il chiasso, il calcio, i gruppi troppo grandi, che ha avuto sempre maggiore confidenza e stretto rapporti di amicizia più profondi con le femminucce piuttosto che con i maschietti; un bambino che ha assunto nel tempo qualche atteggiamento che io identificherei come “femminile” (il modo di muovere le mani, di atteggiarsi).
Un bambino che negli ultimi tempi sta prendendo le distanze dalle amichette (dice di non capirle, di non avere più molto in comune con loro) e che si mostra sempre più spesso malinconico e che credo nasconda a me e alla mamma qualche piccolo conflitto vissuto a scuola con i compagni.
Al tentativo di aprire un dialogo, mio figlio si chiude.
La mia impressione è che, cercando di avvicinarsi al gruppo dei maschi, sia stato preso in giro con l’appellativo di “femminuccia”.
Le chiedo un consiglio, una riflessione, e anche un suggerimento pratico: è giusto o sbagliato far notare al bambino che quel modo di atteggiarsi, quel modo di muovere le mani, sono “da femmina”, e che quell’aspetto potrebbe essere motivo di presa in giro? Non l’ho mai fatto, lasciandogli libertà di esprimersi come vuole, ma mi chiedo se sia/sia stato utile.
RISPONDE LA PSICOLOGA
Gentile Signore, suo figlio si affaccia alla preadolescenza, un periodo difficile, caratterizzato dalla malinconia che attiene al dover rinunciare al mondo “fatato” dell’infanzia, alla convinzione che i genitori siano perfetti; una fase caratterizzata da profonde trasformazioni, fisiche e psicologiche.
Le trasformazioni pre-puberali sollecitano il processo di definizione della nostra identità di genere, per cui si è sempre più spinti verso gruppi di pari che abbiano il nostro stesso sesso, al fine di integrare e arricchire sempre più il nostro essere maschi o femmine.
L’accesso al gruppo può essere faticoso, soprattutto per chi non condivide atteggiamenti o passioni socialmente ritenuti “da maschio” o “da femmina”, o presenta aspetti di insicurezza/riservatezza legati all’entrare in relazione con gli altri. Se non c’è una forte autostima, le prese in giro o i vissuti di esclusione possono causare ferite profonde e atteggiamenti di isolamento.
Credo che la cosa più importante da fare sia cercare di aprire e coltivare un dialogo con il suo bambino, cercando di sospendere il giudizio e tenendo a bada l’istinto a dare soluzioni per risolvere il problema.
Un bambino in difficoltà ha bisogno innanzitutto di sentirsi accolto e rispettato da un adulto che non dispensa consigli (ottimi per chi li dà, non sempre adatti a chi li riceve), ma che è in grado di ascoltare empaticamente, per aiutare il bambino a dare un senso a ciò che sente e a trovare le sue strategie o soluzioni.
È fondamentale riconoscere e verbalizzare la fatica legata all’età, magari raccontare qualche episodio in cui noi stessi ci siamo trovati in difficoltà o presi in giro. Se il bambino si chiude possiamo delicatamente provare a fare delle ipotesi: “forse sei triste perché ti manca qualcosa? Forse qualcuno ti ha detto qualcosa che ti ha ferito?”. Lasci che sia lui a dirle che lo prendono in giro, valuti se lui è consapevole dei suoi atteggiamenti “femminili”. Poi aspettiamo e rispettiamo, ribadendo la nostra voglia di esserci, tornando sull’argomento di tanto in tanto, quando lo vediamo rabbuiarsi.
L’atteggiamento delle mani a questa età credo sia diventato qualcosa di costitutivo. Probabilmente ci sarebbe stato bisogno, fin da piccolino, di ribadire che è un maschietto, e che certe cose sono da femmine, ma i “se” servono a poco.
È fondamentale che il suo bimbo si senta accettato e valorizzato nella sua unicità, che, oltre che un prezioso tesoro, a volte diventa un fardello pesante; da questo momento in poi è prioritario il rapporto con lei che, in quanto papà, è colui che può insegnargli come si affrontano le fatiche della vita, e come si diventa uomini.
Si dia un po’ di tempo per osservare la situazione. Se la fatica di suo figlio dovesse essere troppo forte, e ci fossero problemi relazionali anche alle scuole medie, le suggerirei di rivolgersi a uno psicoterapeuta infantile della sua zona, possibilmente uomo. In bocca al lupo!