Terza età: un’età tutta da inventare

Il testo che pubblichiamo è un contributo di Vieko, che segue già da tempo noinonni.it e ci ha mandato diverse testimonianze della sua esperienza di nonno alle prese con un nipotino in età prescolare.
Questa volta Vieko ci invia una riflessione sulla fase della vita che sta vivendo (lui, come tutti noi arrivati alle soglie delle “nonnità”), e si chiede se abbiano ancora senso le definizioni tradizionalmente associate alla cosiddetta “terza età”. 

Sono un nonno di 64 anni e a volte mi interrogo su questa fase della mia vita. Mi sembra di viaggiare in un territorio nuovo, non ancora disegnato sulle carte geografiche. Fino a pochi decenni fa una persona della mia età poteva tranquillamente definirsi anziana: il fatto stesso di essere nonno implicava trovarsi in un’età considerata avanzata e la parola “nonno” era sinonimo di vecchio. Ma oggi i termini sono cambiati e, con l’aumento dell’aspettativa di vita, gli stereotipi che definivano le età dell’uomo non sono più validi.
Nella televisione degli anni Sessanta – la mia età mi consente di ricordarlo – Marcello Marchesi interpretava il “signore di mezz’età”, un tipico cinquantenne che decantava ironicamente i vantaggi della sua età ormai non più verde: serenità, tranquillità …
Se andiamo ancora più indietro nel tempo, nella letteratura dell’Ottocento, ad esempio, vengono definiti come vegliardi personaggi di un’età che oggi non sarebbe certo considerata adatta a questa definizione. Pensiamo per esempio al vecchio Karamazov, il padre dei tre celebri fratelli, descritto come un “vecchio di cinquant’anni”.

Oggi un cinquantenne non è certo una persona di mezz’età né tantomeno un vecchio. Ma è soprattutto nel periodo che segue i sessant’anni che è difficile darsi un’“identità”. Se infatti l’organizzazione sociale è rimasta ancora pressoché immutata e considera le persone di quest’età ormai poco motivate, mentalmente avviate all’uscita dal lavoro o già appartenenti alla categoria dei pensionati, un sessantaquattrenne, come sono io, non si sente a suo agio con questi stereotipi. Oggi una persona della mia età – anche se nonno – non pensa di essere al tramonto della propria vita attiva.

Ovviamente le generalizzazioni sono imprudenti e semplicistiche, ogni persona che si trova a vivere questa fase della vita reagisce in modo personale, in base alla propria storia e alle proprie risorse. Ci sono i “non più giovani” e i “non ancora anziani”, due atteggiamenti apparentemente simili ma che comportano modi molto diversi di vedere se stessi.
Il fatto più rilevante che caratterizza e condiziona gli anni che sto vivendo è l’uscita dalla vita lavorativa e la gestione della nuova situazione di “tempo a disposizione”. C’è chi l’aspetta con ansia e chi ne è spaventato ma, a prescindere dal fatto di essere ancora impegnati con il lavoro o che si goda di una pensione, è certo che ci si trova nella necessità di “rimettere a fuoco” i propri valori.
Il fatto che la nostra generazione si trovi a poter usufruire, rispetto alle generazioni passate, del “dono” di alcuni anni di benessere è ovviamente di per sé una cosa positiva, ma è anche carica di problematiche, soprattutto perché ci obbliga a ridefinire il nostro ruolo all’interno della società. È una sfida per noi, e un tema che comincia ad essere sempre più sentito, oggetto di analisi e dibattiti da parte di molti esperti che ne traggono una gamma di considerazioni, dalle più rosee – con proposte di valorizzazione delle potenzialità degli ultrasessantenni – a quelle catastrofiche, che prevedono una società sempre più invecchiata, con risorse insufficienti per far fronte al costo sociale che ne deriverà, anche a causa del basso ricambio giovanile.

Sul piano personale, penso che comunque non sia corretto fingersi giovani a oltranza. L’aver accumulato molte esperienze negli anni trascorsi non può non aver lasciato un segno. Non dimentichiamo che la speranza di vita è, appunto, una speranza, per quanto statisticamente supportata, ma non è una certezza. Quindi la visione delle cose di un sessantenne deve essere diversa da quella di un quarantenne, la cui speranza è decisamente più vicina alla certezza.
Mi sento sempre in imbarazzo quando vedo un mio coetaneo che si comporta come fosse ancora un ragazzo. Non si può prescindere dal fatto che questa età comporta, insieme alla voglia di essere ancora attivi, anche una dose di “saggezza”. Si può vedere il mondo e la vita con uno sguardo nuovo, più meditativo e accettare, quando sia possibile, oltre alla possibilità di rendersi ancora utili, anche una componente di sano “ozio”. Intendo un ozio nobile, pensoso, come lo intendevano gli antichi. L’otium delle menti elevate, contrapposto al negotium di chi era costretto agli affanni quotidiani. Questo stato mentale, nella giusta dose, non deve procurarci reconditi sensi di colpa, anzi ci consente di assaporare alcuni aspetti della realtà che ci circonda che in altri tempi non potevamo soffermarci a considerare.
Si può dedicare questo tempo non più a un’attività finalizzata alla produzione, come ci è stato chiesto per molti anni, ma a coltivare noi stessi. Si può approfondire un interesse, che però non si può improvvisare: se, ad esempio, ci si è sempre e solo appassionati alle partite di calcio, sarà difficile inventare qualcosa di nuovo che ci coinvolga davvero.
Certo, dedicarsi ai nipotini e contribuire all’organizzazione della giornata dei loro genitori può essere un vero e proprio nuovo lavoro, anche molto gratificante ma, per poterlo svolgere con la giusta serenità d’animo, è indispensabile arricchire lo spirito con un nuovo atteggiamento verso le cose e il mondo frenetico nel quale viviamo tutti quanti, nonni, figli e nipoti. E, come dicevo, questo è uno stato mentale al quale è bene cominciare a prepararsi per tempo, molto per tempo.

 

3 commenti su “Terza età: un’età tutta da inventare

  1. La mia esperienza di nonna che ha accudito un nipote ormai 16enne mi ha insegnato che RINNOVARSI
    quando si crede di non averne più né il diritto e neppure il dovere, è la cosa più bella e utile che si possa fare per noi stessi! La fine di questa mia “filosofia” potrà arrivare solo quando le forze fisiche non me lo permetteranno più ma, se la testa funzionerà ancora, continuerò,come faccio ora, a stare (quando è possibile) e a parlare con mio nipote, scambiandoci le nostre idee e curiosità sulla vita! Teresita

    1. Teresita, hai perfettamente ragione. È quello che cerchiamo di fare noi di noinonni, e che auguriamo a tutte le persone della nostra età!

  2. Ciao Annalisa di NOI NONNI! Noi nonni dell’associazione di Volontariato “Argento vivo” di Bereguardo, paese di 2800 anime, abbiamo vinto un terno al lotto, creandola nel 2004! All’inizio non è stato facile mettere in pratica le moltissime idee che avevamo, eravamo tutti impegnati ad accudire nipoti e genitori: poi le cose vengono da sè, soprattutto COINVOLGENDO LINFE GIOVANI come bimbi, figli, nuore, fratelli: così facendo NOI siamo diventati un ulteriore punto di riferimento per tutti, soprattutto al di fuori della famiglia! Questo è uno dei ruoli dei NUOVI NONNI! Non ci sentiamo più..scontati,,come solitamente ci vedono i familiari, ma un pò più…importanti! Ciao e buon lavoro!!

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