Nel ricordo dei nostri cari defunti

Ed è arrivato il periodo più malinconico dell’anno, quello in cui ricordiamo i nostri cari defunti. Quest’anno, abbiamo tutti, anche coloro tra noi che non hanno subito lutti recenti, una pena in più che pesa sul nostro cuore: quella dei vuoti tra le nostre file, e ancor di più tra quelle dei nostri “grandi vecchi”, quegli anziani genitori di cui noi, figli ormai ultrasessantenni, ci prendiamo cura.
Un’immagine ci tormenta: quella del corteo di camion carichi di feretri che, nei giorni terribili in cui infuriava il Covid19, partivano da Bergamo carichi delle salme di chi, vinto dal coronavirus, non poteva trovare nella sua terra le cure che da sempre, in tutte le civiltà e in tutti i Paesi, si tributano a chi ci ha lasciato, quelle che fanno sì che ci sentiamo tutti uniti, tutti uomini sotto lo stesso cielo e sottoposti alla stessa legge. Un’immagine che accentua la malinconia che sempre ci assale in questi giorni – giorni di visite ai cimiteri, di incontri con parenti che la vita ha portato lontano, ma a cui ci lega il filo della memoria. Un’immagine che ci fa sentire più che mai la nostra fragilità, e che è ormai il simbolo di come sia cambiato in un batter di ciglia non solo il nostro modo di vivere, ma la nostra stessa percezione del mondo e del futuro.

Certo, ci assale una grande malinconia, ma è una malinconia a cui noi nonni non possiamo abbandonarci: dobbiamo infatti far sentire ai nostri nipoti che il dolore per l’assenza delle persone care è sì forte, ma che riusciamo a viverlo e a condividerlo, e non si trasforma in disperazione. Non solo: che la vita e l’esperienza di chi ci ha preceduto è linfa vitale per chi ci segue, e che a loro noi, come in un’ideale staffetta, passiamo il testimone.

Grazie a questo cambio di prospettiva, la visita ai cimiteri si trasforma in un momento di condivisione e in un “regalo” per i più giovani: è infatti il momento in cui noi nonni consegniamo le memorie della famiglia ai nostri nipoti, rievocando persone, caratteri, storie, per aiutarli a costruire quel senso delle radici che è così importante per la loro crescita. Con i nostri racconti, col calore che riusciamo a trasmettere, possiamo farli sentire parte di un “organismo” vivo legato dall’affetto e capace di reagire anche al dolore; un organismo in cui la storia fluisce di generazione in generazione. Perché in ognuno di loro c’è un pezzetto di noi e di coloro che ci hanno preceduto.

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