Ieri e oggi – La letterina di Natale

È già quasi Natale, e i bambini, se non k’hanno già fatto, completano ora le letterine a Babbo Natale con le richieste di doni.
I miei nipotini, subissati dalle pubblicità e dai video televisivi, sono pronti da tempo. E tutti in famiglia sorridiamo del loro affanno, del loro affastellare richieste di cose che non sanno neanche bene che cosa siano.
Però i loro elenchi mi fanno venire in mente, per contrasto, le letterine di Natale che scrivevamo io e mio fratello…  Noi non le scrivevamo a Babbo Natale. Certo,  esprimevamo desideri, ma in modo meno diretto; le nostre letterine erano dirette ai papà (almeno, quelle mie e di mio fratello). E chiamatemi pure nostalgica, se volete: non mi tiro indietro; ma vi ricordate la poesia di quelle letterine di Natale? Quelle tutte brillantini? Anzi, anche queste erano un lusso arrivato dopo: le mie primissime erano disegnate da me (non che sia mai stata particolarmente portata per il disegno, ahimè!) e illuminate con una polverina glitterata che dovevo spargere con grande attenzione sulla superficie del disegno, dopo aver steso con l’apposita spatolina un sottile strato di coccoina.

Tutti in famiglia sapevano di queste letterine; in primis naturalmente la mamma, che era la nostra grande “complice”. Sì, perché le nostre letterine si mettevano sotto il piatto del papà, quando si apparecchiava la sera di Natale (a casa mia, a Napoli, la festa grande era la sera della vigilia). E i papà fingevano sempre un’enorme sorpresa quando, tolto il piatto dopo gli antipasti, compariva la famosa letterina. Che veniva letta con grande solennità, e commentata da tutta la famiglia.

Ma, soprattutto, che dire di queste letterine? Era tutto un grondare di buoni sentimenti e di alti propositi; un riconoscere a malincuore – e con grandi segni di pentimento – che sì, qualche marachella l’avevamo fatta, magari anche più di una (non molte però), ma che ci eravamo pentiti e promettevamo solennemente non solo di non farle mai più, ma di comportarci sempre più che bene. E alla fine qualche timida richiesta di doni, ma molto timida, molto sommessa: pochi doni (d’altra parte, non eravamo bersagliati dalla pubblicità) e subordinati al nostro comportamento. Era l’epoca, quando io ero piccola, in cui le cose dovevi meritartele, altrimenti niente (almeno in linea di principio). E i doni, a Napoli (ma penso in tutto il Sud) li avrebbe portati poi la Befana, dopo aver vagliato bene il nostro comportamento.

Sbagliato? Certo, il rischio era quello di farti sentire sempre un po’ inadeguato, in colpa, non all’altezza delle aspettative. Ma che differenza rispetto ai bambini di oggi! A quanto mi sembra, ormai in molti casi il meccanismo “mi sono comportato bene/merito un premio” si è inceppato, relegato a un’anticaglia del passato. Il dono è un diritto, appena mitigato dalla considerazione che il povero Babbo Natale deve far felici tutti i bambini del mondo, quindi non può esaudire proprio tutti-tutti i desideri. E lo dico come considerazione generale, non perché consideri i bambini di oggi più discoli di noi.

È giusto? Non è giusto? Non sta a noi giudicarlo. Noi siamo cresciuti in un’epoca di maggiore austerità (anche se nulla in confronto a quella dei nostri genitori!), e possiamo solo prendere atto del cambiamento e adeguarci, godendoci la gioia del Natale dei nostri bambini, ma anche raccontando loro com’era, quando eravamo noi i bambini di casa. Con un pizzico di nostalgia per i nostri tempi e le nostre letterine…

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