Nonni in lockdown: il senso di vulnerabilità

Certo, sapevamo di essere fragili. Sapevamo che gli anni non tornano indietro, che sicuramente non ringiovaniamo e che via via che passa il tempo è più facile che veniamo colpiti da qualche malanno. Ma non ci aspettavano il senso di vulnerabilità che ci ha assalito in questi ultimi mesi.
D’altra parte, i numeri sono impietosi: l’Istat rileva che nel 2020 ci sono stati circa 100 000 morti in più rispetto alla media degli anni precedenti.  Numeri che lasciano attoniti e che danno la misura della violenza con cui il coronavirus ci ha colpiti. E se è vero che una percentuale importante (circa il 70%) di questi decessi si è registrata tra gli anziani, è vero che anche il numero delle morti tra i più giovani, letto non in percentuale ma in valore assoluto, è impressionante.

Ci sentiamo vulnerabili, dunque. Una vulnerabilità che va ben al di là della paura per la nostra persona – con quella bene o male avevamo imparato a fare i conti, fa parte dell’ordine naturale delle cose, dell’eterna ruota della vita – , ma abbraccia i nostri figli, i nipoti.
Abbiamo paura per la loro salute – ed è una paura concreta, quasi fisica, diversa dalla preoccupazione con cui abbiamo sempre accolto la notizia dell’influenza, dell’indigestione… di tutti quei malanni che ci facevano accorrere per dare una mano, ma nella certezza che sarebbero passati o che la medicina avrebbe saputo porvi rimedio.

Ma ci sentiamo vulnerabili anche perché l’allontanamento forzato a cui siamo costretti, quella raccomandazione al “distanziamento sociale” da cui siamo martellati, ci fa perdere un pezzo di vita. Abbiamo paura di non poter lasciare il segno, che i nostri nipoti avranno solo ricordi sbiaditi di questi “nonni con la mascherina” che vedono saltuariamente, che devono stare a distanza, che non hanno l’occasione di trasmettere le loro esperienze, di passare il testimone.

Noi sappiamo bene che per arrivare alla confidenza c’è bisogno di tempo; che per poter raccontare certi momenti di vita bisogna trovare l’occasione giusta, l’aggancio che susciti curiosità e interesse. Ecco, abbiamo paura che ora tutto questo ci venga negato, che aspettando che l’epidemia passi i nipoti crescano e “perdiamo il treno”, la possibilità di trasmettere loro la nostra esperienza. Una malinconia in più, che si unisce alla paura per il virus e alla consapevolezza dell’ineluttabile trascorrere del tempo.

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