Ciao, papà!

padre-figlio_Makarova Olga | DreamstimeIl giorno della festa del papà è, per noi nonni, anche un momento in cui ricordare i nostri papà, e per trasmettere queste memoria ai nostri figli e nipoti.
Un ricordo di mio padre, Mario Pomilio.

Ciao, papà. Sei così lontano… eppure sei qui. Ti ricordi quando, da bambini, ci portavi alla Reggia di Capodimonte, in quel grande prato che io e Tommaso chiamavamo “prato nostro” e che a me bambina sembrava un mondo distante dal mondo? C’era un tronco caduto, ricordo, e noi, all’epoca appassionati lettori di Salgari, lo usavamo per giocare ai pirati, immaginando leggendari arrembaggi.

Ti ricordi quando andavamo a giocare a calcio (sì, anch’io, anche se ero una ragazza, pur di stare con te) e mi mettevate a fare da terzino perché ero piuttosto robusta e “un maschiaccio”? Non che all’epoca mi facesse piacere, tutt’altro: essere grassottella era il mio cruccio, e mi dava non pochi problemi. Ma avrei fatto di tutto per stare con te, per cercare di inserirmi in quel rapporto speciale che mi sembrava ci fosse tra te e mio fratello, di cui, da sorella maggiore, ero un bel po’ gelosa. E non mi piaceva neanche essere considerata la “robustona” della famiglia, quella che comunque se la cavava, mentre Tommaso era quello “delicatuccio”, spesso malatino. Che nervi, all’epoca! Ora però sono ricordi dolci.

Altri ricordi riaffiorano. Ricordi di quando ero più piccina e la sera, dopo il bagnetto, mamma ci portava da te, per il bacio della buonanotte; tu sempre nel tuo studio, con la porta chiusa, a scrivere cose per noi misteriose, ma che ti fermavi, ti giravi, ci prendevi in braccio per qualche momento prima di riconsegnarci alla mamma. O di quando ero più grande e tu eri immerso nella stesura del Quinto Evangelio: ricordo che a tavola, durante il pranzo, continuavi a rimuginare e spesso tiravi fuori un taccuino su cui scrivevi un rapido appunto, magari solo una parola, che evidentemente ti era affiorata in quel momento. O di quando ti aggiravi per la casa, la testa ancora su quello che stavi scrivendo, e ci incontravamo in cucina, per un caffè (ma quanti ne prendevi?) o per uno spuntino, di quelli che facevano infuriare la mamma (ma come, c’era il prosciutto per la cena e ora ce n’è la metà!).

Molte cose le ho viste attraverso i tuoi occhi. Per esempio, il ’68: io ero ancora una bambina e non capivo nulla, ma ricordo la passione con cui tu guardavi il telegiornale, senza nessuna riprovazione, ma cercando di capire (e di farci capire) le motivazioni che erano alla radice del movimento studentesco. Un atteggiamento di apertura, di curiosità, di rispetto per gli altri e di disponibilità ad ascoltare e a cambiare opinione se era il caso che hai avuto sempre, tutta la vita, e che è stato uno dei tuoi grandi insegnamenti.
O anche ti ricordo, questa volta con malinconia, davanti alle immagini della caduta del muro di Berlino. Ricordo la tua esclamazione, “ho fatto in tempo a vedere anche questo!”: eri ormai malato e sapevi che ti restava poco tempo, ma riuscivi a restare sereno anche di fronte a questa prospettiva, continuando ad appassionati a ciò che succedeva intorno a te, alle vicende, vicine e lontane, del mondo a cui appartenevi.

E ricordo anche il tuo equilibrio quando, da adolescenti, io e mio fratello abbiamo iniziato le contestazioni (era l’epoca!). La mamma era spiazzata, non riusciva a reagire o reagiva con scatti di nervosismo che non facevano che acuire gli scontri; tu riuscivi a parlarci, a smussare gli spigoli, a ridimensionare i conflitti, a farci arrivare a un compromesso. Non sempre ero contenta quando intervenivi tu, con il tuo tono pacato e la tua dialettica: sentivo di non avere gli strumenti intellettuali e logici per tenerti testa alla pari, e che alla fine riuscivi sempre a spuntarla, anche se non sempre mi convincevi fino in fondo. Però senza di te la nostra adolescenza sarebbe stata molto più aspra, per noi figli e anche per la mamma.

Un ultimo ricordo, per me forse il più dolce: quello della mia figlia più piccola che, spaventata da non ricordo più cosa, correva a rifugiarsi tra le tue braccia. Era il tuo ultimo Natale; subito dopo saremmo partiti insieme per Parigi, a consultare un medico famoso, nella speranza di poter avere una risposta diversa da quella che ci avevano dato in Italia.
Ciao, papà!

Annalisa Pomilio

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