L’amico immaginario

Secondo uno studio condotto dalla psicologa americana Marjorie Taylor e pubblicato dalla casa editrice scientifica Oxford University Press, oltre il 60% dei bambini tra i tre e gli otto anni hanno o hanno avuto per un certo periodo un amico immaginario.
Stupiti? Beh, secondo la Taylor non sempre chi si occupa dei bambini – genitori, insegnanti, nonni… – si accorge di questo amico invisibile: i bambini più piccoli spesso ne parlano come di un amico reale, un compagno di giochi in carne e ossa, mentre quelli più grandi talvolta preferiscono non parlarne, anche perché cominciano a percepire che i “grandi” possono trovare bizzarra la presenza di questo amico.
Si tratta perciò di un fenomeno molto diffuso e assolutamente non preoccupante. Anzi, secondo la Taylor si tratta di un modo normale e sano con il quale i bambini si adattano al mondo complesso degli adulti, un mondo di cui non sempre capiscono le dinamiche, e sul quale non hanno molto potere.

L’esperienza di un nonno

Ecco come Vieko, il nonno che ha già collaborato più volte con noi , racconta la sua esperienza.

“In base alla mia esperienza, non è affatto raro il caso di bambini che inventano un “amichetto immaginario” con il quale instaurano un rapporto confidenziale anche per diversi anni, a volte fino all’età di nove-dieci anni.
È una situazione della quale ho sentito spesso parlare, non necessariamente in termini negativi, anzi, come un arricchimento del proprio mondo interiore.
Personalmente penso che sia il parallelo infantile di quella dimensione che gli adulti definiscono “dialogo con se stessi” o “il sottile piacere di stare da soli”.
Sia nel caso dei bambini, sia in quello degli adulti (credo), questo stato non implica necessariamente la solitudine, che è subita, ma è una scelta personale che non esclude la presenza di altre persone (reali).

Nel caso del mio nipotino, gli amichetti inventati (sono di numero variabile, comunque più d’uno) non hanno un rapporto paritario con lui, ma sono bambini più piccoli ai quali lui deve “badare”.
Probabilmente in questi momenti, quando è con i suoi “amici immaginari”, si identifica nella sua mamma o nella sua maestra d’asilo. Quindi lui ha la responsabilità di questi bimbi, del loro comportamento e spesso li rimprovera severamente. I rimproveri, ovviamente, sono l’eco di quelli che subisce lui.
Forse questi bambini invisibili gli servono per scaricare le sue “colpe”.
È veramente buffo, quando siamo per strada, vederlo mentre gesticola nel vuoto e scandisce un lungo discorso a base di: “ma insomma! non fatevelo più ripetere! Non si fa così!”
Ma, nello stesso tempo, mostra anche di dover proteggere questi bimbi e, quando qualcuno di essi è stanco di camminare, ecco che lo prende premurosamente in braccio e lo si vede procedere con un braccio al petto. Salvo poi, dopo un po’, dirgli: “Non puoi stare sempre in braccio! Adesso cammina un po’ con le tue gambe”.

Una nonna di mia conoscenza mi ha raccontato che anche il suo nipotino, che ha superato i cinque anni, gioca spesso con il suo amico invisibile. Una volta lei gli ha chiesto: – Come si chiama questo tuo amico?
Lui è rimasto un attimo pensoso, poi ha risposto: – Alberto.
– Ma Alberto è il tuo nome.
– Sì, ci chiamiamo allo steso modo.
Questo mi pare che sia un caso diverso da quello del mio nipotino, che è più piccolo. Mi sembra un vero sdoppiamento di se stessi. Probabilmente per il bambino è molto rassicurante, considerando che, con un amico identico a sé è impossibile non andare d’accordo”.

Che cosa dicono gli psicologi

Secondo gli psicologi, la creazione di un amico immaginario è l’espressione della fantasia e della creatività del bambino, e il segno della sua capacità di reagire alle situazioni esterne. Anzi, questo gioco è per lui un arricchimento, perché gli insegna ad assumere il punto di vista di un altro.
In genere, perciò, i bambini con un amico immaginario sono meno timidi e riescono a comunicare meglio con gli altri. Inoltre, sono più pronti a reagire alle situazioni impreviste con soluzioni personali.
E poi, l’amico immaginario li aiuta a sfogare tensioni e sensi di colpa; anzi, spesso viene usato per addossarsi la responsabilità di marachelle. Ancora di più: dà al bambino la possibilità di vestire ruoli che lo affascinano, ma che sa di non poter assumere, come succede a Federico, il nipotino, di Vieko, che nei confronti dei suoi amici immaginari  riveste i panni di “adulto responsabile”.

In che modo i bambini usano l’amico invisibile

Sono tanti i modi in cui i  bambini usano l’amico immaginario. Per esempio, può essere

  • qualcuno che ti fa sentire più forte; in tal caso, si tratta di un amico grande, più forte e più abile di loro, che li fa sentire sicuri e dà loro in coraggio di affrontare le situazioni difficili.
  • un “responsabile” su cui scaricare la colpa di marachelle.
  • un compagno di giochi, un ruolo importante soprattutto per i figli unici, perché permette di giocare a “far finta che” quando non c’è nessun bambino vero con cui giocare.
  • un alter-ego a cui attribuire desideri, intenzioni, capricci, bugie, paure. Attraverso di lui i bambini possono rivelare stati d’animo che altrimenti non esprimerebbero.
  • un bambino da proteggere o correggere, insomma un compagno più piccolo, che  aiuta a sentirsi grandi e forti.

Sono solo alcuni esempi del ruolo che può rivestire l’amico immaginario: ogni bambino infatti ne offre una sua personale interpretazione.

Come comportarsi con l’amico invisibile?

Tenete sempre presente che i bambini sanno perfettamente che l’amico immaginario è finto e non esiste nella realtà.
Ma in che modo reagire quando il bambino lo tira in ballo? Prima di tutto, non prendete in giro il bambino e non sgridatelo: è un gioco, di cui conosce perfettamente il limite, e quando vi parla del suo amico immaginario non vi sta dicendo una bugia, ma sta cercando di coinvolgervi in qualcosa che per lui è importante.
Quindi, state al gioco, ma senza esagerare. È fuori luogo, per esempio, che lo chiamiate in ballo voi direttamente (rivolgendovi direttamente a lui, o facendo finta che esista davvero senza esserne richiesti, come per esempio apparecchiando la tavola anche per lui); se il bambino ve ne ha parlato, rivolgetevi all’amico invisibile sempre attraverso il bambino, senza voler prendere le redini del gioco. E fatelo con delicatezza, tenendo presente che l’amico invisibile è sempre un modo per il bambino di dare voce ad ansie, preoccupazioni o desideri profondi.

Un caso particolare è quello in cui il bambino attribuisce all’amico invisibile le sue marachelle. In questo caso, come reagire? Sbagliato rimproverare il bambino dicendogli senza mezzi termini che ha detto una bugia. Meglio coinvolgere anche l’amico nell’eventuale punizione (“È stato Marco a buttare a terra tutto il succo perché non gli piaceva.” “Bene, adesso tu e Marco pulirete bene dappertutto. E digli per favore d non fare mai più una cosa simile.”). In questo modo, si evita si “svelare” il gioco, anche se il bambino capisce perfettamente che voi lo considerate responsabile di ciò che ha fatto.

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“È mio!”: il senso del possesso nei bambini
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